Roma, maggio 1946. La città, come del resto l’Italia intera, è caratterizzata
da povertà post bellica, dagli Alleati ancora in giro a pattugliare e dalla speranza di un cambiamento
alimentata dal referendum istituzionale e dall'elezione
dell'Assemblea Costituente dei 2 e 3 giugno dove
le donne voteranno per la prima volta. Delia, interpretata magistralmente da
Paola Cortellesi, vive con un marito padrone e violento, per fortuna anche
allora non tutti erano così, che al mattino la saluta con uno schiaffo, un
suocero allettato per comodo e tre figli. Delia aspira ad una vita migliore per
la primogenita fidanzata con un ragazzo della Roma bene, fa tutto per la figlia
fino al paradosso. Qualcosa però spariglia le carte, l’arrivo di una misteriosa
lettera metterà in discussione l’esito della vicenda.
“C’è ancora
domani” ha la grande capacità di condurti in un illic et tunc, in un là e
allora, temporale e psicologico di straordinario impatto, non perché è in
bianco e nero come spesso sono i ricordi, non perché è un resoconto storico di
un’Italia che ci hanno già raccontato, ma perché lo sa fare muovendo emozioni, sentimenti,
qualcosa di indescrivibile con le sole parole ma che le immagini, la musica, i
volti e le loro espressioni sanno evocare. Dalla poltrona del cinema mi sono
sentita trasportare con leggerezza, nonostante la tragedia di un marito padrone
violento, un suocero indicibile, Delia mi ha fatto entrare in scena. Come la
Cortellesi stessa ha dichiarato c’è molto dei racconti della nonna in ciò che
ha inserito nella pellicola, una narrazione che racconta la nostra origine di donne:
tutte noi veniamo da quel dopoguerra. Mia nonna mi ha parlato spesso di ciò che
ho visto e ascoltato nel film forse anche per questo sono riuscita a
immedesimarmi così facilmente. Una narrazione cinematografica capace di rendere
attuale ciò che siamo stati per trasmetterlo a chi queste storie non le ha mai
ascoltate. Abbiamo visto una madre pronta a dare tutto per i figli anche a
sottomettersi al marito, ma in realtà la sua è una sottomissione di facciata;
Delia, la donna simbolo della battaglia femminile verso l’autodeterminazione, è
l’icona di un sacrificio, quello in grado di spezzare una mentalità retriva che
vede l’unica possibilità di riscatto sociale femminile nel matrimonio, costi
quel che costi. Alla fine del film, mentre scorrevano i titoli di coda una
forte emozione ha prodotto sul mio volto lacrime di gratitudine. Mentre
percorrevo la strada verso casa, ho capito. Quel film mi rappresenta, ho visto
il mio lavoro, la sorellanza di cui argomento, il riscatto femminile, le
relazioni familiari e soprattutto la collaborazione con Alba Dell’Acqua (vice
presidente MOICA e presidente MOICA Basilicata) con cui lavoro da dieci anni a
progetti come quello sul lavoro invisibile femminile che il film mette in primo
piano. Delia fa diversi lavori per contribuire al ménage familiare e vestita con
lo stesso abito logoro e rappezzato cuce per i ricchi, fa loro le punture… e
manda avanti la casa senza alcun riconoscimento sociale. Grazie alla Cortellesi
ho, abbiamo, visto in scena il nostro percorso e il nostro lavoro. Abbiamo
visto “La tessitura di Penelope”, il progetto che abbiamo messo nero su carta
già da qualche anno, un progetto creato per parlare del lavoro invisibile delle
donne della Basilicata ma che deve andare oltre la regione per diventare
nazionale. C’è ancora domani, mi sono detta, e con una proiezione ottimista al
futuro siamo sempre al lavoro per realizzare il riconoscimento del lavoro invisibile
femminile di ieri e di oggi. Senza il pieno riscatto del passato non ci può
essere un vero futuro di parità. E dopo aver viso il film, siamo ancora più determinate
con il nostro decennale impegno a promuovere e realizzare l’educazione
sentimentale che si apprende, soprattutto, con l’esempio d’amore.
Maria Giovanna Farina, filosofa
(pubblicato su Il Mattino di Foggia, novembre 2023)
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