venerdì 5 luglio 2024

Educare con l'esempio

 


Jean-Jacques Rousseau, filosofo e pedagogista svizzero (1712-1778), rimase senza i genitori a 7 anni, ma si ribellò presto alla tutela delle persone a cui era stato affidato. Il suo carattere diventò rapidamente libera espressione di se stesso e ostentazione della propria naturalezza. Un manifestarsi così come si è, nel bene e nel male. Nella sua proposta pedagogica c’è la naturalezza spinta al paradosso, ma a proposito delle sue idee e consapevole dei suoi eccessi, egli sosteneva: ”Se ne faccio nascere di buone in altri non avrò affatto perduto il mio tempo”. Nella sua famosa opera pedagogica, L’Emilio, Rousseau ritiene che bisogna distinguere i diversi periodi della vita dell’uomo, momenti in cui l’anima non è mai identifica a se stessa; l’educazione che viene in aiuto all’Emilio bambino-adolescente-adulto deve essere proporzionata alle condizioni che la natura porta con sé. Questa conformità con la natura individuale è il caposaldo della pedagogia moderna, un punto fondamentale che intendo sottolineare per parlare di educazione e di inclinazioni personali. Nelle varie epoche della vita facciamo passi avanti significativi nella nostra maturazione se le condizioni esterne sono in accordo e in armonia con la nostra natura, col nostro essere quello che siamo e non altro. Se costringiamo ad una carriera scolastica scientifica un ragazzo portato per le lettere difficilmente creeremo un abile matematico. Il nostro essere quello che siamo al di là degli schemi e delle convenzioni è la cosa più preziosa che l’educazione può consentirci di realizzare. Cosa possiamo fare per essere dei buoni educatori? Con Rousseau possiamo ricordare che “le lezioni devono essere azioni più che discorsi”. Nella nostra vita quotidiana conta di più l’esempio che diamo con la nostra stessa esistenza che le parole, specialmente quando sono un semplice flatus vocis.  

A questo proposito basti pensare alla scoperta, nel 2006, di due biologi (Nigel Francks e Tom Rischardson) dell’università di Bristol pubblicata su Nature: esiste la formica maestra che insegna all’allieva come trovare il cibo. Si tratta di una vera e propria interazione tra maestra e allieva dove l’insegnamento basato sull’esempio porta ad un’evoluzione del comportamento come avviene per gli umani.

Maria Giovanna Farina

 

sabato 15 giugno 2024

TECNICHE ANTIMOBBING

 

      di Flavio Lappo, disegno a matita

    

   Mobbing deriva dal verbo inglese to mob che vuol dire assalire, aggredire, assediare e venne usato inizialmente nel 1992 (fonte Zingarelli) , nell’ambito dell’ etologia. Il mobbing è un comportamento aggressivo e vessatorio nell’ambiente di lavoro nei confronti sia di dipendenti che di colleghi al fine di screditarli, isolarli, dequalificarli. Si distinguono due tipi di mobbing, “orizzontale”, che avviene tra colleghi di grado più o meno uguale e  “verticale”, detto anche “bossing”, che viene agito dai propri superiori. In entrambe le situazioni, lo scopo finale è spesso quello di  isolare e costringere la vittima all’autolicenziamento.

  Il mobbing può assumere varie forme, si va dall’attaccare direttamente la propria vittima alla diffusione anonima di notizie false e tendenziose che mirano a screditarla. Le aggressioni possono essere sia fisiche che psicologiche, ma in ogni caso deleterie. Anche le molestie sessuali rientrano in questo ambito poiché spesso queste vengono agite da certi datori di lavoro con la promessa di avanzamenti di carriera, di svolgere mansioni migliori o semplicemente di avere qualche piccolo vantaggio rispetto agli altri dipendenti. Spesso le richieste sessuali sono omologabili a vere e proprie forme di ricatto, in quanto il non aderirvi significa rendersi la vita difficile. Questo genere di  atteggiamenti  fa sì che le persone prese di mira accusino dei malesseri sia nella sfera fisica che psichica.

   Il modo migliore per ovviare gli effetti del mobbing è quello di prevenirlo in quanto una volta instauratosi è più difficile riuscire ad arginare e a debellare i suoi effetti.

Alla base del mobbing c’è la vigliaccheria: la vittima è sempre una persona fisicamente e/o psicologicamente più debole del suo aggressore il quale è spesso un individuo che, forte della sua posizione gerarchica all’interno dell’azienda, ne approfitta per trarne vantaggi a discapito di altre persone. Però non tutte le potenziali vittime diventano vittime, c’è quindi qualche elemento predisponente che fa optare l’aggressore per l’una o per l’altra.

   Come abbiamo detto all’inizio, il termine mobbing è stato introdotto per primo in etologia, ed è proprio dal regno degli animali che voglio trarre un esempio. Un branco di gazzelle è composto da tanti individui che potenzialmente possono essere tutte vittime del ghepardo, eppure solo una lo diventerà. Perché? Alcuni diranno, per esempio, che il ghepardo ne può catturare una sola, ma allora replico, perché proprio quella? Ebbene i motivi sono diversi, ma uno sopratutti è che “quella gazzella” è la gazzella che ha maggiori probabilità di essere uccisa. Analizziamo un po’ le caratteristiche della gazzella predestinata:

 1) La  posizione all’interno del branco è importante in quanto più è isolata dagli altri e più è facile  raggiungerla; difficilmente il felino sceglie la sua vittima fra quelle maggiormente all’interno del branco, sceglie sempre quelle un po’ distaccate.  

2) Possibili handicap come malattie, gravidanza, vecchiaia, essere cuccioli, in pratica tutto ciò che rende, anche momentaneamente, più vulnerabili. Ricordiamo che uno dei momenti più favorevoli alle aggressioni anche per i capi più forti, è proprio quello dell’abbeveraggio. Anche abbeverarsi si può rivelare un pericoloso handicap , anche se momentaneo. 

3) La presenza di altri predatori o animali più forti non amici. Ossia la presenza di qualcuno che può costituire pericolo per l’aggressore.

 

   Nella vita sociale degli umani, il pericolo maggiore viene dal suo simile, homo homini lupus, bisognerà quindi fare anche altre considerazioni di ordine antropologico-sociale; per il momento, in linea generale le caratteristiche individuate per la gazzella, possono essere adattate molto bene anche a quelle delle vittime del mobbing.

E’ necessario quindi non essere mai isolati dal resto dell’ufficio, evitare quindi postazioni isolate e cercare, nel limite del possibile, di avere sempre qualcuno vicino, un testimone è pur sempre un testimone. Ricordarsi sempre che l’handicap può essere anche solo momentaneo. Avere un debito può già rappresentare una situazione che predispone al mobbing mentre avere, non necessariamente nell’ambiente di lavoro, una persona amica influente è un buon deterrente nei confronti del mobbing.

   L’aggressore si comporta un po’ come il predatore, sceglie le sue vittime con cura perché non ama fallimenti. L’aggressore uomo ha dalla sua parte il ”vantaggio” di essere “uomo”, il predatore più pericoloso che esista, perché oltre ad una intelligenza più efficace, aggredisce anche per il solo gusto di fare del male o di farsi bello di fronte agli altri

Abbiamo quindi visto che il potenziale aggressore non aggredisce mai se la certezza di vincere non è molto alta, di conseguenza dobbiamo, per non essere vittime del mobbing, avviare procedure che mantengano alto il margine di sconfitta dell’aggressore.

Sicuramente una forte autostima accompagnata dalla conoscenza dei propri diritti è già sufficiente a scoraggiare un potenziale aggressore.

Come anticipato, la posizione all’interno dell’ambito lavorativo riveste un ruolo di notevole importanza, ma per posizione non dobbiamo intendere solamente quella relativa al luogo, bensì, più ampiamente, a tutto ciò che può ricondurre all’accezione di “posizione”, ossia, finanziaria,  politica, sessuale, sociale, culturale.

Cosa vuol dire ciò? Vuol dire che oltre alla posizione “topica”, occorre anche prendere in considerazione quella “allargata”, in quanto ogni elemento relativo allo status può favorire o meno l’instaurarsi di una situazione di mobbing.   

Fare attenzione anche a ciò che può provocare invidia e gelosia in quanto anch’esse possono essere causa di mobbing nella forma della calunnia.

Quanto segue prenderà in considerazione le posizioni in cui la diversità è data dalle singole condotte del soggetto.

1) Finanziaria. Non fare debiti se non si è più che sicuri di onorarli; il bisogno di denaro conduce a compromessi  e ad una perdita di autostima che predispone a diventare vittima del mobbing. Quindi se proprio dovesse accadere di navigare in cattive acque evitare di confidarsi con i colleghi di lavoro, a volte il pericolo si nasconde dove meno ce lo aspettiamo.  E’ bene che gli altri pensino che non abbiamo problemi di nessun genere, tantomeno finanziari.

2) Politica. “Il voto è segreto” Un motivo per cui questa massima è stata coniata è dovuta al fatto che la nostra ideologia politica, a volte, può essere usata contro di noi. A meno di non essere degli attivisti politici, è sempre bene mantenere segreto il simbolo sul quale apponiamo la nostra preferenza.

3) Sessuale. La nostra vita privata proprio perché privata, non deve essere di dominio pubblico, tantomeno dell’ambiente in cui lavoriamo. Se poi le nostre preferenze e abitudini sessuali si discostano dalla norma, allora è d’obbligo che esse rimangano assolutamente sconosciute a tutti i colleghi di lavoro. Certe leggerezze in questo campo possono venire pagate a caro prezzo e diventare causa di ricatti e di abusi. In questi casi la regola numero uno è sempre quella  della massima discrezione; quello che facciamo al di fuori dell’ambito lavorativo non deve importare a nessun altro al di fuori di noi.

4) Sociale.  A volte si può essere oggetto di maltrattamenti ingiustificati anche per il fatto che, non potendoci licenziare, fanno in modo che siamo noi stessi ad andarcene. Anche in questo caso, la conoscenza dei nostri diritti può molto aiutarci ad evitare soprusi ed angherie; comunicare le violazioni agli Uffici del Lavoro preposti a questo genere di comportamenti spesso è sufficiente a scoraggiare atteggiamenti di mobbing.

5) Culturale. Nonostante si dica che siamo  in pieno periodo di tolleranza religiosa, in realtà non è proprio così. Le differenze religiose, nonostante gli attuali sforzi della Chiesa Cattolica volti alla pacifica convivenza dei vari Credi, sono sempre la causa prima di dissidi fra i popoli. Consiglio quindi ai professanti Credi diversi da quello maggioritario, di astenersi, nei luoghi di lavoro, da pratiche religiose che possano dare adito a critiche e diventare così causa di mobbing.

Un ‘altra causa del mobbing è dovuta alle diversità che possono assumere le forme più svariate ed investire ogni aspetto della persona.

In quanto alle differenze razziali ve ne sono alcune che per la loro evidenza non possono essere celate, di conseguenza il comportamento migliore da adottare per evitare persecuzioni, è ancora quello di tenersi sempre bene informati sui propri diritti ed inoltre è sempre conveniente riuscire a diventare amici di qualcuno che abbia una certa voce in capitolo nell’ambito lavorativo.

Se le condizioni nell’ambiente di lavoro dovessero poi diventare veramente insostenibili, si può, avendo cura di raccogliere il maggior numero di prove, intraprendere un’azione legale. Non commettere però l’errore, una volta vinta la causa, di rimanere in quel posto di lavoro: le conseguenze potrebbero essere insostenibili. In questi casi la cosa migliore da fare è quella di consultare un legale del lavoro (ve ne sono anche di gratuiti) e valutare la strategia migliore da adottare. 

Max Bonfanti, filosofo analista

martedì 23 aprile 2024

I sogni son desideri?

 


Oniricon, opera di Flavio Lappo artista che rappresenta i sogni


Il sogno da sempre accompagna l’esistenza dell’uomo che affascinato dalla propria vita notturna si spinge alla ricerca del significato. E se non ne avesse alcuno?

Aristotele, vissuto nel IV sec. a.C., sostiene che non c’è miglior interprete dei sogni più dell’uomo che sa comprendere similitudini e metafore. I nostri sogni sono ricchi di queste immagini molto condensate che esprimono pensieri e mettono in scena le situazioni più disparate: imparare a decodificare i messaggi notturni è un importante traguardo per comprendere come i nostri sogni interagiscano con la veglia e come siano portatori di utili suggerimenti. Fin dall’antichità i sogni hanno affascinato gli uomini. Gli antichi Egizi li ritengono messaggeri degli dei, sono stati proprio loro a scrivere 1300 anni prima di Cristo uno dei primi libri sull’argomento dove hanno raccolto i messaggi divini. Gli Egizi sostengono la teoria degli opposti, ad esempio sognare la morte di qualcuno vuol dire augurargli una lunga vita e questa idea è rimasta anche nella nostra cultura popolare. Pure la Bibbia è ricca di sogni come messaggi di Dio, pensiamo ai sogni del Faraone e all’annunciazione dell’angelo a Maria nel Vangelo. E che dire di Omero quando ci narra dei messaggi che Zeus manda agli uomini attraverso i sogni? Ipnos è la divinità greca del sonno, gli antichi Greci hanno creato dei luoghi sacri deputati al sonno: grandi sale dove gli ospiti possono bere sostanze particolari a base di droghe che gli permettono di cadere subito in un sonno profondo. Al risveglio gli oracoli interpretano fortune o sciagure a seconda dei simboli presenti nei loro sogni. Il filosofo greco Platone (V sec a.C.) per la prima volta dice nel dialogo Repubblica che i sogni rivelano la vera natura dell’uomo, ma sono interessanti anche le considerazioni di Aristotele quando sostiene che i sogni possono predire un’incipiente malattia dai sintomi non ancora avvertibili. Le teorie di Platone e Aristotele sono state riprese e rielaborate dagli studiosi del nostro tempo.

Il primo grande libro sui sogni fu l’Oneirocritica di Artemidoro di Grecia nel II sec. d.C. si tratta di un’opera in 5 volumi, pubblicata per la prima volta in Inghilterra ha riscosso un tale successo da essere riedita per 24 volte in un secolo. In questo libro Artemidoro sostiene un’interessante teoria: uno stesso sogno se fatto da due persone diverse ha significati diversi. Questa è una visione moderna che sancisce l’importanza soggettiva della produzione onirica. Egli è stato un grande anticipatore delle recenti teorie sul sogno, anche se ritiene che essi siano infusi dagli dei. Si è concentrato sui quelli ricorrenti sostenendo, come fece Jung duemila anni dopo, l’idea del “grande sogno” quello potenzialmente più importante che ritiene il più difficile da interpretare.

I Romani invece credono alla teoria della divinazione e molto nei sogni premonitori (uno per tutti Cicerone); Galeno vissuto fra il 130 e il 201 d.C. sostiene invece i sogni diagnostici. I Romani si basano comunque sui simboli universali. I moderni interpreti a partire da Freud ritengono il sogno una produzione personale e il simbolo pur essendo comune all’umanità deve adattarsi al singolo individuo.

Secondo Martin Lutero, il padre del protestantesimo, i sogni ci aiutano a riconoscere i nostri peccati. In un testo indù “Brihadarmyaka-Upanishad”, risalente al 1000 a.C., si sostiene che il sogno, grazie alla perdita di ogni sensazione fisica e di ogni forma di inibizione far emergere la vera personalità del dormiente. Nel mondo islamico, uno scrittore arabo Al Mas’adi, ritiene il sonno “la preoccupazione dell’anima” dal momento che i sogni sono suggeriti dalle condizioni fisiche di colui che li vive.

Resta il fatto che ancor oggi non si sa perché si sogna, nonostante nel 1953 si sia scoperto che durante il sonno si alternano fasi di sonno R.E.M. (rapid eyes movements) a fasi di sonno non-R.E.M. e che nelle prime che sogniamo: nonostante tutto ciò la vera ragione del sogno non si conosce! Nel 1900, Freud, medico neurologo e inventore della psicoanalisi, pubblica il celebre libro “Interpretazioni dei sogni” dove spiega che i sogni sono un’importante manifestazione della nostra vita interiore, lo specchio delle nostre aspirazioni segrete e dei nostri desideri nascosti, spesso rifiutati dalla mente cosciente. Secondo Freud, il sogno è formato da un contenuto manifesto (le immagini che ricordiamo) e un contenuto latente (con un significato) che è campo di indagine della psicoanalisi. Per Freud il sogno è il guardiano del sonno infatti, esprimendo la vera natura dei nostri desideri in forma dissimulata, consente al dormiente di riposare tranquillo.  Secondo Freud, nel sogno agisce la censura che spesso ci impedisce di pensare ai nostri desideri più profondi e alle nostre inclinazioni, per il padre della psicoanalisi il motore del sogno è il desiderio. La censura impedisce ai nostri pensieri di raggiungere la coscienza, ciò è possibile solo se essi vengono camuffati tanto da non rivelare il loro vero significato. La difficoltà nell’interpretare i sogni è determinata dalla problematicità di vincere il censore che c’è in noi. Secondo Freud per interpretare bene un sogno bisogna mettere in evidenza l’episodio che ha colpito maggiormente il sognatore, ma senza voler trovare un significato a tutti i costi. Egli era convinto che il vero significato del sogno si sarebbe manifestato solo dopo aver analizzato con l’aiuto del sognatore le diverse parti del sogno. 

Facendo un salto di molti anni giungiamo alla originale considerazione dei sogni di uno studioso americano, lo psichiatra Allan Hobson autore di un celebre studio pubblicato in Italia nel 1992 nel testo La macchina dei sogni, Giunti editore. Per Hobson la fonte dei sogni sarebbe una scarica di impulsi nervosi che parte dal “ponte”, una piccola area alla base del cervello, e “attiva” le cellule della corteccia cerebrale (preposta alla maggior parte delle funzioni cerebrali superiori). Queste scariche provocano immagini e sensazioni che poi il cervello “sintetizza” secondo un significato fortuito: per questa teoria i nostri sogni non avrebbero quindi alcun significato nascosto. Il sogno deve essere letto e non interpretato: questo è il ribaltamento totale di Hobson, di conseguenza non è il desiderio il motore del sogno bensì il sogno è solo una sintesi degli eventi della nostra vita.

Tutto il millenario discorso fatto fin qui deve aiutarci a considerare i sogni come una risorsa autoprodotta, un racconto autobiografico, una testimonianza della nostra esistenza ricca di tutto ciò che siamo. Leggendo e rileggendo il nostro personale testo onirico con le competenze dei filosofi, di Freud e della Psicoanalisi, ma anche con ciò che in modo più pragmatico ci ha detto uno scienziato come Allan Hobson possiamo comprendere qualcosa di più del nostro “lato meno evidente”. Il sogno può essere considerato uno strumento del “conosci te stesso” che dall’oracolo di Delfi ha fatto un lungo cammino fino a raggiungere l’uomo contemporaneo. Freud e Hobbson sono due opposti, noi da filosofi cerchiamo di stare nel mezzo.

Maria Giovanna Farina 

venerdì 1 marzo 2024

In ricordo di Lucio Dalla

 


Lucio Dalla vivrà in eterno, le sue canzoni ci hanno accompagnato per tanti anni della nostra vita con il loro stile inconfondibile, credo sia questo soprattutto a rendere immortale un musicista: quando non lo si confonde con nessun altro. La sua prima canzone per me è stata 4 marzo 1943, ero una bambina e lo ricordo a San Remo sul palcoscenico dell'Ariston quando la televisione era ancora in bianco e nero. Poi crescendo ho ascoltato tante altre creazioni da Piazza grande, L'anno che verrà, a Futura, Anna e Marco fino a Balla balla ballerino, Settima luna...e poi ancora quando adolescente non ero più. Non le ricordo in ordine di tempo, queste sono le prime che la memoria ha rievocato: a tutte queste canzoni è legato un ricordo della mia vita. Certi personaggi non dovrebbero mai morire, per loro le leggi dell'universo eccezionalmente dovrebbero essere sospese. Scomparendo portano con sé anche una parte della nostra vita, ma non il ricordo perché Lucio Dalla è un grande artista che ci ha aiutati a crescere, a sentirci meno soli, a vivere insieme. Rammento un suo concerto in piazza Duomo del 1981, erano i tempi in cui indossava il baschetto blu di maglia: pioveva, la piazza era strapiena, lui impassibile con un impermeabile giallo si esibiva per tutti noi. Tanti anni dopo nel 2004 ero a teatro per assistere alla sua opera Tosca, amore disperato, ritornata a casa ho scritto queste righe che sento molto adatte alla circostanza:

Tosca, la celebre opera di Puccini reinterpretata da Lucio Dalla, trasmette qualcosa di insolito che va al di là della semplice emozione che un amore tragico come quello dei due protagonisti, Tosca Florio e Mario Cavaradossi, suscita. I rifacimenti sono spesso molto discutibili e a volte nascondono l’incapacità di un artista di produrre qualcosa di nuovo, ma in questo caso l’interpretazione di Dalla regala nuove suggestioni. La trama dell’opera pucciniana è fedelmente riproposta, ma tutto il resto è libera creatività. Le musiche, i costumi, le coreografie e il cast coinvolgono lo spettatore in un susseguirsi di emozioni da montagne russe. La musica, le voci e le immagini di scena sembrano preludere un uragano di passione per poi riportare immediatamente in una condizione di malinconia, come se qualcosa di bello stesse per accadere e poi non trovi realizzazione. Questa situazione lascia col fiato sospeso e con un certo sconforto nel cuore, lo spettatore com-patisce (nel senso di patire con) lo stato d’animo dei due innamorati che si nutrono della loro passione, ma sentono la minaccia della fine incombere sulla loro unione. Tosca e Mario, amandosi perdutamente e disperatamente, diventano un simbolo dell’Amore che supera le rigide barriere della convenzionalità per raggiungere l’Assoluto: chiunque ami è qui rappresentato. Un altro aspetto particolare di quest’opera è la capacità di portare, in alcuni momenti, ad un punto alto di commozione per poi introdurre una parentesi quasi comica capace di interdire il pianto che stava per sgorgare. Apparentemente può significare una volontà di sdrammatizzare, in realtà credo sia il voler mettere in scena gli opposti: tragico e comico nella vita spesso si incontrano cercando di contendersi il primato. La rappresentazione, davvero originale nel mettere insieme generi musicali differenti, si conclude con il messaggio che i grandi amori vivono oltre la morte e, certamente, oltre ogni tentativo di inficiarli. Mi ha colpita Iskra Menarini che nel ruolo di Sidonia, personaggio creato da Dalla, è la splendida interprete di “Amore disperato”, il leit motiv dell’intera rappresentazione. Lucio Dalla tiene d’occhio costantemente la sua creatura aggirandosi in sala, ma appena ti accorgi della sua presenza si dilegua con l’agilità di un gatto e scompare come una visione.

Maria Giovanna Farina

 

giovedì 1 febbraio 2024

Nuovo romanzo di Franco Pulzone


E' in libreria il nuovo lavoro, patrocinio del Comune di Viareggio, di Franco Pulzone, scrittore, poeta e presidente dell'associazione culturale Medusa di Viareggio. 
Una trilogia (La cruna delle stringhe, Il caso, Alieno) Pezzini editore.

Le parole dello stesso Pulzone ci indicano l'intento e la finalità dell'opera:

"Ho scritto Alieno perché il rapporto tra le civiltà è cambiato dopo la caduta del muro di Berlino che determinò, se pur lentamente, l’implodere delle diverse strutture socio-economiche e culturali tra le Nazioni. Cominciando a distruggere quel vecchio sistema dove la centralità dell’uomo era al centro di tutto, ciò che ad oggi non è più così. Ritengo quindi necessario che l’uomo potrà tornare ad essere centrale nella nuova civiltà industriale, ma solo se sarà coscientemente capace di rinnovarsi ristrutturando i propri punti di forza che sono: la famiglia, la scuola e l’ambiente. Solo in questo modo è possibile affrontare le sfide quotidiane e quelle future, rendendo così capaci le nuove generazioni di riuscire a dare le giuste risposte alle diverse sfide che sempre si riproporranno. Credo sia necessario revisionare i valori sopra citati, che rendono l’essere umano speciale ed insostituibile. Solo così saremo all’altezza di riposizionarci al centro di ogni mutazione futura e già in corso, come l’intelligenza artificiale, sapendo trovare il giusto equilibrio con l’altra monade ambientale che ci permette di esistere, dove la libertà di ogni diversità culturale e non, servirà per convivere in pace"

Link acquisto libro 

https://www.pezzinieditore.com/prodotto/alieno/


Franco Pulzone, presidente associazione culturale Medusa di Viareggio. Scrittore e poeta con un importante impegno culturale e sociale.

martedì 5 dicembre 2023

RIFLESSIONE SUI PRINCIPI E SULLE VIRTU’ DELL’UOMO

 


Troppo spesso capita di sentire complimenti “esagerati” per azioni che dovrebbero essere  parte integrante della nostra quotidianità. Quante volte oggigiorno vediamo una persona aiutare un anziano ad attraversare la strada? Cedere il posto sull’autobus o sul treno (dove esistono posti 
riservati a donne in dolce attesa e signori di età avanzata, ma puntualmente sono occupati nonostante ce ne siano di altri vuoti)? Farsi carico della loro borsa della spesa? Sono eventi rari, già il fatto che vengano considerati eventi e non la normalità la dice lunga su come si stiano evolvendo verso il regresso i nostri principi e la nostra morale e le poche volte che succedono è solo perché vediamo persone veramente bisognose di aiuto. Solamente nel momento in cui non aiutare una persona rischia di diventare, agli occhi dei presenti, disumano, forse, ci sentiamo in dovere di agire. Ci stiamo trasformando in un popolo cieco, non come difetto fisico ma come principio naturale, insomma, un difetto dell’anima. Non ci poniamo mai nei panni del nostro prossimo che ha, o quantomeno potrebbe, avere bisogno di noi. Preferiamo non vedere, o meglio, far finta di non vedere e continuare a pensare a noi stessi. La vista si sta annebbiando, ma l’udito e la favella funzionano benissimo quando mettere in cattiva luce è uno dei maggiori argomenti di dialogo. E’ inutile girarci intorno, non sappiamo parlare d’altro che di cose futili. Giusto poco tempo fa al supermercato m’è successo casualmente di fare un esperimento mentre stavo in coda alla cassa. Solitamente appena si arriva a pagare il conto della spesa siamo circondati da chewing-gum o caramelle di ogni sorta invece quel giorno, il caso ha voluto che, sopra tutti questi dolciumi, ci fossero due vasetti di yogurt, chiaramente fuori posto. Non mi sarei mai aspettato che la gente abbandonasse la fila per andare a riposizionarlo. Non era nemmeno necessario arrivare a tanto. Bastava consegnarlo semplicemente alla commessa. Ebbene, esperimento riuscito! Nessuna delle persone che avevo davanti a me s’è posta il problema di trovare una soluzione al povero yogurt abbandonato.  Poteva tranquillamente restare al calduccio lontano dal frigorifero, diventare guasto ed essere buttato o, nel peggiore dei casi, a fine serata essere riposizionato come se nulla fosse nel suo frigorifero. Allora m’è sorto il dubbio: cosa può spingere le persone a ignorare questi piccoli gesti che dovrebbero essere alla base di una società civile? Stiamo perdendo di vista il reale significato di giusto e sbagliato? Di dovere o pretendere? Chi lo sa. La certezza è una, qualunque evento accade per causa nostra è sempre in buona fede e senza nessuna cattiveria di fondo. Questo avviene perché tutti i giorni conviviamo con il nostro modo di fare che non sarà il migliore, ma siamo così presuntuosi da ritenerlo tale. Ma se commette un errore una persona che non conosciamo o a noi non particolarmente simpatica allora brandiamo saldamente la spada e sentendoci giudici condanniamo pesantemente quell’azione maleducata come se stessimo accusando  il peggiore dei delinquenti. Questo dimostra che siamo diventati ciechi nei confronti di noi stessi. Penso sia una delle cose peggiori che possa capitare ad un essere umano. Perché non vedersi vuol dire non essere in grado di confrontarsi con le altre persone, non vedere se in noi ci siano miglioramenti o peggioramenti, ergo, cadere nell’errore di pensare che, per quanto riguarda la nostra persona, siamo a posto così. Rimaniamo in perenne stallo intellettuale. Ignoriamo cosa significa coltivare l’amor proprio. Dobbiamo mettere la nostra persona al primo posto delle nostre priorità. Non per vanità né tanto meno per egoismo. Il migliorare noi stessi aiuta a migliorare anche le relazioni con le altre persone. Ciò lo si otterrà solo se, prima di criticare chi sta di fronte a noi, ci poniamo una domanda: posso aver provocato io questa reazione in lei/lui? Insomma, per ogni nostra azione, per ogni nostro gesto o parola dovremmo farci un esame di coscienza e magari noteremo che un nostro amico ci risponde male o ci aiuta mal volentieri non perché s’è svegliato male lui o perché gli hanno dato buca ad un appuntamento, ma perché qualcosa che abbiamo detto o fatto l’ha urtato senza che noi ce ne accorgessimo. E’ come se tra due persone ci fosse un dipinto, solo uno dei due riuscirà ad ammirare l’opera d’arte, l’altro ne vedrà il retro. La stessa cosa capita quotidianamente, mai le persone vedono la stessa cosa, anche se all’apparenza può sembrare. Migliorarsi vuol dire basta cercare scuse patetiche. Ogni volta dobbiamo sempre giustificare qualunque cosa facciamo, sia nel bene che nel male, non ci assumiamo mai le nostre responsabilità. Ciò vuol dire farsi carico di noi stessi e non soltanto a parole dove troppo spesso si sente: “ mi  assumo sempre le mie responsabilità!”. No, se fosse un’affermazione vera e intrinseca del nostro modo di essere che motivo avremmo di rivendicarlo a parole? Il tempo è galantuomo, basta avere pazienza ed esso svelerà sempre la nostra reale natura, una persona può continuare ad ingannare con belle parole, ma difficilmente riesce ad ingannare la realtà della sua natura. Pertanto dobbiamo responsabilizzarci anche nei fatti. Le parole sono tutti molto bravi a cambiarle. Pure noi stessi non formuliamo quasi mai correttamente, a parole, un concetto che abbiamo in testa. Da come 
pensiamo un concetto a come lo esprimiamo subisce già una modifica, immaginiamo che modifica ulteriore possa subire da come lo esprimiamo noi a come lo interpreta il nostro interlocutore. Proprio per questo motivo sono i gesti quello che contano. Kant, uno dei massimi filosofi 
moderni, diceva che:” Puoi conoscere il cuore di un uomo già dal modo in cui egli tratta gli animali.”  Noi ci sentiamo sempre superiori a certi pensieri, nemmeno ci sfiora l’idea di fermarci a riflettere su un’idea così banale che, tra l’altro, fondamentalmente non abbiamo nemmeno 
capito. Questo accade perché viviamo in un mondo dove le persone appena finiscono di lavorare vogliono rilassarsi, accendere il televisore per ore e ore passando da reality a fiction che, per quanto possano essere di intrattenimento, non trasmettono niente o molto poco di quello che 
interessa a noi adesso. L’amor proprio. Il peggio arriverà quando certi valori si dovrà passarli di padre in figlio. Cosa trasmetteremo? Nulla. Una cosa non troppo complessa e fondamentale potremmo provare a farla nostra per poi trasmetterla. Insegnare a dubitare. Il saper mettere in 
discussione le cose insegnatoci da Cartesio, saper scindere il buono dal non buono, approfondire senza mai fermarsi alla prima soluzione. Come spiega in maniera molto chiara e semplice Popper :” ogniqualvolta una teoria ti sembra essere l’unica possibile, prendilo come un segno che non hai capito né la teoria né il problema che si intendeva risolvere”. La verità è che dovremmo scendere dal piedistallo in cui continuiamo a vivere e iniziassimo a farci un serio e profondo esame interiore. Nel momento in cui succede qualcosa dobbiamo smetterla di essere i primi a indossare la toga dei giudici o degli avvocati, ma indossare il proprio umile abito e prima essere pronti ad essere giudicati che a giudicare anche perché, come spiega Socrate nel suo dialogo con “Gorgia”: Mi piace più ricevere obiezioni che farne: è molto più utile, così come è più utile essere liberati noi da una disgrazia piuttosto che liberarne un altro.”

(tutti diritti riservati@)

 Max Bonfanti, filosofo analista

Lavoro: un diritto o una chimera?

 



Da qualche anno ormai viene utilizzato lo strumento del Tirocinio per aiutare i giovani e i soggetti delle categorie fragili a trovare od a rientrare nel mondo del lavoro. Un tempo si chiamava periodo di prova o apprendistato.

Così, diversi centri o uffici sono nati per promuovere l’occupazione ovvero contribuire al miglioramento delle condizioni economiche e sociali, e per favorire, si dice, l’incontro fra chi cerca e chi offre lavoro.

Ma è davvero così?

Numerose testimonianze ci narrano invece, sovente, di tirocini di formazione volti all’acquisizione di competenze specifiche e di tirocini di formazione volti all’ assunzione come un qualcosa di ingannevole e illusorio, i quali si trasformano in estenuanti percorsi che non portano a nulla di concreto per il giovane od il lavoratore in cerca di lavoro. Non solo le persone non vengono realmente aiutate a concretizzare il progetto con cui vengono reclutate e illuse, ma anzi il più delle volte, vengono addirittura utilizzate, più che altro,  come risorse sottopagate ( sono previsti infatti 500 euro in media al mese come rimborso spese ) da gestire a piacimento tra le varie aziende che partecipano ai progetti , presso le quali, con la scusa del tirocinio rinnovabile, vanno in realtà a rimpiazzare posti momentaneamente vacanti o a rinforzare reparti sotto staff.

Per quanto sia stato più volte segnalato l’utilizzo fraudolento del tirocinio ancora non vi è una normativa specifica o sufficiente a vera  tutela dello studente o del lavoratore che si trova così a percorrere un sentiero difficile e pieno di insidie dove, non solo non viene adeguatamente formato e valorizzato secondo i progetti proposti in fase di reclutamento, ma piuttosto appiattito su posizioni anche di basso profilo al solo scopo di soddisfare le esigenze momentanee dell’azienda o del soggetto ospitante  tali da sentirsi talvolta anche ricattati a dover accettare pur di non essere esclusi e avere così un minimo anche non garantito per sopravvivere.

G.B iscritta alle liste di collocamento mirato legge 68/99 del centro per l’impiego di una grande città del Nord si affida così speranzosa all’ufficio di mediazione lavoro del Comune d residenza.  A seguito di vicende personali si trova ad oltre 50 anni a dover cercare con urgenza un lavoro e a distanza di qualche anno dall’ultimo lavoro svolto che aveva lasciato per seguire i figli piccoli. Dopo una serie di colloqui dove viene stilato, tra l’altro, anche un nuovo curriculum vitae in maniera professionale, la informano di un percorso di tirocinio ad hoc perché possa trovare quanto prima la sua collocazione definitiva nel mondo del lavoro.

Invitata ad un primo colloquio presso un’azienda scopre nello stesso momento che il primo tirocinio è solo formativo in una posizione ovviamente inferiore alle competenze acquisite nella sua carriera professionale precedente. Vista la necessità non può che accettare di buon grado. Terminato il periodo formativo di tre mesi con riscontro positivo, apprende che l’azienda non fa assunzioni di alcun genere e vorrebbe giusto prorogare il tirocinio perché ha occorrenza di personale. L’ufficio preposto non autorizza la proroga del tirocinio ma le propone invece un nuovo tirocinio questa volta promettono a scopo assuntivo. Tutto bene se non fosse che passano oltre 5 mesi in attesa del nuovo colloquio e tirocinio che doveva essere invece imminente. Finalmente un giorno arriva il benedetto colloquio per il tirocinio da avviare a scopo assuntivo presso un’azienda disponibile, sempre di tre mesi ovviamente, in una posizione inferiore alle competenze precedenti o maturate, più un mese per la documentazione necessaria per formalizzare l’assunzione, le viene comunicato dalla responsabile. In caso di riscontro positivo seguirà dunque l’assunzione. G.B. si rincuora e seppur stremata dopo un anno di attese e promesse procede fiduciosa. Ma è andata davvero così? Vi chiederete curiosi.

Il riscontro positivo c’è anche questa volta ma il tirocinio viene inaspettatamente prolungato di altri tre mesi con motivazioni di procedure varie e scuse che offenderebbero l’intelligenza di chiunque. 

Perché dovrebbero assumere se possono avere un lavoratore a disposizione a circa 4 euro l’ora si domanda adesso sconfortata G.B. Forse stanno aspettando la decisione di rientro o meno di un dipendente dello stesso reparto per decidere se procedere all’ assunzione? Stava forse sostituendo un altro dipendente in malattia a sua insaputa? Può forse chiedere garanzie circa l’assunzione prospettata e i tempi previsti? O deve sottostare ad ogni proroga non concordata in precedenza in attesa che la sorte sia dalla sua parte?

Il riscontro è positivo e l’assunzione garantita, le assicurano, ma nel frattempo passano altri   due mesi : “ E sa...non dipende da noi…sono i tempi burocratici .. capita anche agli altri “.

Le percentuali di assunzione secondo i dati ufficiale della Regione parlano però chiaro e sono davvero molto basse.

“Se le va è così altrimenti ci faccia sapere…” avanti forse un altro povero illuso studente o lavoratore?

Ma forse è meglio domandarci se occorrono più Santi in Paradiso, augurandoci che G.B. ne abbia trovati e sia stata nel frattempo assunta veramente con contratto indeterminato, perché il lavoro torni ad essere un diritto garantito in una società civile e non una forma ben architettata di sfruttamento o una semplice chimera. (tutti i diritti riservati@)

Antonella Massa, poetessa e scrittrice

 

 

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