martedì 5 dicembre 2023

RIFLESSIONE SUI PRINCIPI E SULLE VIRTU’ DELL’UOMO

 


Troppo spesso capita di sentire complimenti “esagerati” per azioni che dovrebbero essere  parte integrante della nostra quotidianità. Quante volte oggigiorno vediamo una persona aiutare un anziano ad attraversare la strada? Cedere il posto sull’autobus o sul treno (dove esistono posti 
riservati a donne in dolce attesa e signori di età avanzata, ma puntualmente sono occupati nonostante ce ne siano di altri vuoti)? Farsi carico della loro borsa della spesa? Sono eventi rari, già il fatto che vengano considerati eventi e non la normalità la dice lunga su come si stiano evolvendo verso il regresso i nostri principi e la nostra morale e le poche volte che succedono è solo perché vediamo persone veramente bisognose di aiuto. Solamente nel momento in cui non aiutare una persona rischia di diventare, agli occhi dei presenti, disumano, forse, ci sentiamo in dovere di agire. Ci stiamo trasformando in un popolo cieco, non come difetto fisico ma come principio naturale, insomma, un difetto dell’anima. Non ci poniamo mai nei panni del nostro prossimo che ha, o quantomeno potrebbe, avere bisogno di noi. Preferiamo non vedere, o meglio, far finta di non vedere e continuare a pensare a noi stessi. La vista si sta annebbiando, ma l’udito e la favella funzionano benissimo quando mettere in cattiva luce è uno dei maggiori argomenti di dialogo. E’ inutile girarci intorno, non sappiamo parlare d’altro che di cose futili. Giusto poco tempo fa al supermercato m’è successo casualmente di fare un esperimento mentre stavo in coda alla cassa. Solitamente appena si arriva a pagare il conto della spesa siamo circondati da chewing-gum o caramelle di ogni sorta invece quel giorno, il caso ha voluto che, sopra tutti questi dolciumi, ci fossero due vasetti di yogurt, chiaramente fuori posto. Non mi sarei mai aspettato che la gente abbandonasse la fila per andare a riposizionarlo. Non era nemmeno necessario arrivare a tanto. Bastava consegnarlo semplicemente alla commessa. Ebbene, esperimento riuscito! Nessuna delle persone che avevo davanti a me s’è posta il problema di trovare una soluzione al povero yogurt abbandonato.  Poteva tranquillamente restare al calduccio lontano dal frigorifero, diventare guasto ed essere buttato o, nel peggiore dei casi, a fine serata essere riposizionato come se nulla fosse nel suo frigorifero. Allora m’è sorto il dubbio: cosa può spingere le persone a ignorare questi piccoli gesti che dovrebbero essere alla base di una società civile? Stiamo perdendo di vista il reale significato di giusto e sbagliato? Di dovere o pretendere? Chi lo sa. La certezza è una, qualunque evento accade per causa nostra è sempre in buona fede e senza nessuna cattiveria di fondo. Questo avviene perché tutti i giorni conviviamo con il nostro modo di fare che non sarà il migliore, ma siamo così presuntuosi da ritenerlo tale. Ma se commette un errore una persona che non conosciamo o a noi non particolarmente simpatica allora brandiamo saldamente la spada e sentendoci giudici condanniamo pesantemente quell’azione maleducata come se stessimo accusando  il peggiore dei delinquenti. Questo dimostra che siamo diventati ciechi nei confronti di noi stessi. Penso sia una delle cose peggiori che possa capitare ad un essere umano. Perché non vedersi vuol dire non essere in grado di confrontarsi con le altre persone, non vedere se in noi ci siano miglioramenti o peggioramenti, ergo, cadere nell’errore di pensare che, per quanto riguarda la nostra persona, siamo a posto così. Rimaniamo in perenne stallo intellettuale. Ignoriamo cosa significa coltivare l’amor proprio. Dobbiamo mettere la nostra persona al primo posto delle nostre priorità. Non per vanità né tanto meno per egoismo. Il migliorare noi stessi aiuta a migliorare anche le relazioni con le altre persone. Ciò lo si otterrà solo se, prima di criticare chi sta di fronte a noi, ci poniamo una domanda: posso aver provocato io questa reazione in lei/lui? Insomma, per ogni nostra azione, per ogni nostro gesto o parola dovremmo farci un esame di coscienza e magari noteremo che un nostro amico ci risponde male o ci aiuta mal volentieri non perché s’è svegliato male lui o perché gli hanno dato buca ad un appuntamento, ma perché qualcosa che abbiamo detto o fatto l’ha urtato senza che noi ce ne accorgessimo. E’ come se tra due persone ci fosse un dipinto, solo uno dei due riuscirà ad ammirare l’opera d’arte, l’altro ne vedrà il retro. La stessa cosa capita quotidianamente, mai le persone vedono la stessa cosa, anche se all’apparenza può sembrare. Migliorarsi vuol dire basta cercare scuse patetiche. Ogni volta dobbiamo sempre giustificare qualunque cosa facciamo, sia nel bene che nel male, non ci assumiamo mai le nostre responsabilità. Ciò vuol dire farsi carico di noi stessi e non soltanto a parole dove troppo spesso si sente: “ mi  assumo sempre le mie responsabilità!”. No, se fosse un’affermazione vera e intrinseca del nostro modo di essere che motivo avremmo di rivendicarlo a parole? Il tempo è galantuomo, basta avere pazienza ed esso svelerà sempre la nostra reale natura, una persona può continuare ad ingannare con belle parole, ma difficilmente riesce ad ingannare la realtà della sua natura. Pertanto dobbiamo responsabilizzarci anche nei fatti. Le parole sono tutti molto bravi a cambiarle. Pure noi stessi non formuliamo quasi mai correttamente, a parole, un concetto che abbiamo in testa. Da come 
pensiamo un concetto a come lo esprimiamo subisce già una modifica, immaginiamo che modifica ulteriore possa subire da come lo esprimiamo noi a come lo interpreta il nostro interlocutore. Proprio per questo motivo sono i gesti quello che contano. Kant, uno dei massimi filosofi 
moderni, diceva che:” Puoi conoscere il cuore di un uomo già dal modo in cui egli tratta gli animali.”  Noi ci sentiamo sempre superiori a certi pensieri, nemmeno ci sfiora l’idea di fermarci a riflettere su un’idea così banale che, tra l’altro, fondamentalmente non abbiamo nemmeno 
capito. Questo accade perché viviamo in un mondo dove le persone appena finiscono di lavorare vogliono rilassarsi, accendere il televisore per ore e ore passando da reality a fiction che, per quanto possano essere di intrattenimento, non trasmettono niente o molto poco di quello che 
interessa a noi adesso. L’amor proprio. Il peggio arriverà quando certi valori si dovrà passarli di padre in figlio. Cosa trasmetteremo? Nulla. Una cosa non troppo complessa e fondamentale potremmo provare a farla nostra per poi trasmetterla. Insegnare a dubitare. Il saper mettere in 
discussione le cose insegnatoci da Cartesio, saper scindere il buono dal non buono, approfondire senza mai fermarsi alla prima soluzione. Come spiega in maniera molto chiara e semplice Popper :” ogniqualvolta una teoria ti sembra essere l’unica possibile, prendilo come un segno che non hai capito né la teoria né il problema che si intendeva risolvere”. La verità è che dovremmo scendere dal piedistallo in cui continuiamo a vivere e iniziassimo a farci un serio e profondo esame interiore. Nel momento in cui succede qualcosa dobbiamo smetterla di essere i primi a indossare la toga dei giudici o degli avvocati, ma indossare il proprio umile abito e prima essere pronti ad essere giudicati che a giudicare anche perché, come spiega Socrate nel suo dialogo con “Gorgia”: Mi piace più ricevere obiezioni che farne: è molto più utile, così come è più utile essere liberati noi da una disgrazia piuttosto che liberarne un altro.”

(tutti diritti riservati@)

 Max Bonfanti, filosofo analista

Lavoro: un diritto o una chimera?

 



Da qualche anno ormai viene utilizzato lo strumento del Tirocinio per aiutare i giovani e i soggetti delle categorie fragili a trovare od a rientrare nel mondo del lavoro. Un tempo si chiamava periodo di prova o apprendistato.

Così, diversi centri o uffici sono nati per promuovere l’occupazione ovvero contribuire al miglioramento delle condizioni economiche e sociali, e per favorire, si dice, l’incontro fra chi cerca e chi offre lavoro.

Ma è davvero così?

Numerose testimonianze ci narrano invece, sovente, di tirocini di formazione volti all’acquisizione di competenze specifiche e di tirocini di formazione volti all’ assunzione come un qualcosa di ingannevole e illusorio, i quali si trasformano in estenuanti percorsi che non portano a nulla di concreto per il giovane od il lavoratore in cerca di lavoro. Non solo le persone non vengono realmente aiutate a concretizzare il progetto con cui vengono reclutate e illuse, ma anzi il più delle volte, vengono addirittura utilizzate, più che altro,  come risorse sottopagate ( sono previsti infatti 500 euro in media al mese come rimborso spese ) da gestire a piacimento tra le varie aziende che partecipano ai progetti , presso le quali, con la scusa del tirocinio rinnovabile, vanno in realtà a rimpiazzare posti momentaneamente vacanti o a rinforzare reparti sotto staff.

Per quanto sia stato più volte segnalato l’utilizzo fraudolento del tirocinio ancora non vi è una normativa specifica o sufficiente a vera  tutela dello studente o del lavoratore che si trova così a percorrere un sentiero difficile e pieno di insidie dove, non solo non viene adeguatamente formato e valorizzato secondo i progetti proposti in fase di reclutamento, ma piuttosto appiattito su posizioni anche di basso profilo al solo scopo di soddisfare le esigenze momentanee dell’azienda o del soggetto ospitante  tali da sentirsi talvolta anche ricattati a dover accettare pur di non essere esclusi e avere così un minimo anche non garantito per sopravvivere.

G.B iscritta alle liste di collocamento mirato legge 68/99 del centro per l’impiego di una grande città del Nord si affida così speranzosa all’ufficio di mediazione lavoro del Comune d residenza.  A seguito di vicende personali si trova ad oltre 50 anni a dover cercare con urgenza un lavoro e a distanza di qualche anno dall’ultimo lavoro svolto che aveva lasciato per seguire i figli piccoli. Dopo una serie di colloqui dove viene stilato, tra l’altro, anche un nuovo curriculum vitae in maniera professionale, la informano di un percorso di tirocinio ad hoc perché possa trovare quanto prima la sua collocazione definitiva nel mondo del lavoro.

Invitata ad un primo colloquio presso un’azienda scopre nello stesso momento che il primo tirocinio è solo formativo in una posizione ovviamente inferiore alle competenze acquisite nella sua carriera professionale precedente. Vista la necessità non può che accettare di buon grado. Terminato il periodo formativo di tre mesi con riscontro positivo, apprende che l’azienda non fa assunzioni di alcun genere e vorrebbe giusto prorogare il tirocinio perché ha occorrenza di personale. L’ufficio preposto non autorizza la proroga del tirocinio ma le propone invece un nuovo tirocinio questa volta promettono a scopo assuntivo. Tutto bene se non fosse che passano oltre 5 mesi in attesa del nuovo colloquio e tirocinio che doveva essere invece imminente. Finalmente un giorno arriva il benedetto colloquio per il tirocinio da avviare a scopo assuntivo presso un’azienda disponibile, sempre di tre mesi ovviamente, in una posizione inferiore alle competenze precedenti o maturate, più un mese per la documentazione necessaria per formalizzare l’assunzione, le viene comunicato dalla responsabile. In caso di riscontro positivo seguirà dunque l’assunzione. G.B. si rincuora e seppur stremata dopo un anno di attese e promesse procede fiduciosa. Ma è andata davvero così? Vi chiederete curiosi.

Il riscontro positivo c’è anche questa volta ma il tirocinio viene inaspettatamente prolungato di altri tre mesi con motivazioni di procedure varie e scuse che offenderebbero l’intelligenza di chiunque. 

Perché dovrebbero assumere se possono avere un lavoratore a disposizione a circa 4 euro l’ora si domanda adesso sconfortata G.B. Forse stanno aspettando la decisione di rientro o meno di un dipendente dello stesso reparto per decidere se procedere all’ assunzione? Stava forse sostituendo un altro dipendente in malattia a sua insaputa? Può forse chiedere garanzie circa l’assunzione prospettata e i tempi previsti? O deve sottostare ad ogni proroga non concordata in precedenza in attesa che la sorte sia dalla sua parte?

Il riscontro è positivo e l’assunzione garantita, le assicurano, ma nel frattempo passano altri   due mesi : “ E sa...non dipende da noi…sono i tempi burocratici .. capita anche agli altri “.

Le percentuali di assunzione secondo i dati ufficiale della Regione parlano però chiaro e sono davvero molto basse.

“Se le va è così altrimenti ci faccia sapere…” avanti forse un altro povero illuso studente o lavoratore?

Ma forse è meglio domandarci se occorrono più Santi in Paradiso, augurandoci che G.B. ne abbia trovati e sia stata nel frattempo assunta veramente con contratto indeterminato, perché il lavoro torni ad essere un diritto garantito in una società civile e non una forma ben architettata di sfruttamento o una semplice chimera. (tutti i diritti riservati@)

Antonella Massa, poetessa e scrittrice

 

 

Mi sarebbe piaciuto farvi sorridere, ma non è il momento….

 



L'intenzione e la volontà di cercare e trovare sempre la luce in fondo al tunnel, come è mia abitudine, questa volta è cosa difficile, perché stiamo vivendo un momento così particolare così duro così caotico che le nostre orecchie e il nostro cervello riescono solo a raccogliere cose funeste.

Sono seduta davanti alla televisione mentre scorre il telegiornale davanti a me; sto cercando di contare almeno quelle che sono le notizie, non dico belle, ma almeno quelle non brutte.
Non ce ne sono. Io, donna d'antan, ricordo benissimo quando avevo l'età delle giovani che sono protagoniste adesso di fatti di cronaca, di quello che succedeva anche a noi: ci poteva essere un fidanzato invadente un genitore opprimente una famiglia che magari non ti lasciava l'assoluta libertà…
Ma certo vivevamo in un mondo assolutamente diverso e adesso possiamo dirlo, certamente più bello.
C'è il famoso detto “si stava meglio quando si stava peggio”, un modo di dire che può rendere l’idea, almeno a me sembra, di quello che tutti noi stiamo pensando in questi giorni, ma ora, di fronte a queste realtà così sconvolgenti, e non sto parlando di ambiente guerre tragedie, sto parlando di rapporti umani, di rapporti umani che hanno perso ogni loro logica ogni importanza, rapporti umani che non esistono più perché esiste solo possesso prepotenza, la sfiducia è infinita.

Mi ritengo una persona sensibile, ma mai mi è capitato di scoppiare disperatamente in pianto di fronte a una notizia televisiva, di fronte a una lettura da un quotidiano, di fronte a un racconto di qualcuno che vicino a te o ai tuoi cari vive situazioni che non dovrebbero altro che far parte di libri dell'orrore. Quello che mi spaventa è la possibilità di assuefarsi, abituarsi a queste cose, fino ad arrivare al punto di alzare le spalle e dire - Beh è successo un'altra volta!
Penso che per prima cosa dobbiamo augurarci che non succeda mai, anche se naturalmente ognuno di noi deve fare la sua parte.
Soluzioni. Sapete che non ne vedo? si parla di educazione sentimentale, ma chi la deve compiere la famiglia la scuola l’esperto di turno…..

Non parlatemi di politica non parlatemi di questo ambiente che io voglio tenere lontano dalla mia vita, perché anche questo mi disgusta.
Rivalità aggressività cattiveria di uno contro l'altro, sentimenti che non fanno bene al popolo italiano e ancora meno bene fanno a ogni singola persona

Ma stiamo un po' uscendo dal seminato. Quello che mi ha ispirato il desiderio di scrivere è stato l'ultimo omicidio, quella della piccola Giulia, piccola perché aveva solo 22 anni, che era insieme a quello che viene definito un bravo ragazzo.
Come ogni nostra figlia, come in ogni nostra famiglia! quindi nessuno più è sicuro; parliamo di una buona famiglia, anzi due buone famiglie, che sono in questo momento unite perché vivono lo stesso grande dolore.
Entrambe hanno perso i loro figli, sia quella della vittima sia quella del carnefice. Ma mentre si parla di questa notizia ecco che il telegiornale si apre parlando dell’ennesimo gesto con l'acido per sfregiare una donna che ha detto il suo no.
Ci sarà mai una fine a questa storia, ci sarà mai una soluzione? Giorno per giorno i volti di quelle giovani donne che vengono in questi giorni pubblicate aumenteranno sempre di più, non è sconvolgente?
E mentre per questo si soffre, c’è chi si accapiglia per dare la colpa ad una parte o all’altra, agli uomini o alle donne, agli insegnanti o a chi ha la pelle di un colore differente dal nostro.

Ma che vergogna! Di che società marcia facciamo parte?

Lo so che non si deve fare di ogni erba un fascio, lo so che esistono intorno a noi ragazzi e ragazze per bene, giovani di buoni sentimenti, giovani che si impegnano studiano lavorano o vogliono crearsi una famiglia.

 Io non ho la fortuna di essere mamma, ma le amiche che lo sono hanno fior di ragazzi e ragazze che niente hanno a che fare e a che vedere con queste vicende della cronaca; rimbocchiamoci le maniche allora, lo facciano le persone che sono vicino ai giovani,

che parlano coi giovani, che insegnano ai giovani, ma ognuno di noi cominci da se stesso perché ogni piccola goccia di bene che noi proponiamo alla fine faranno un mare, un oceano di bene.

In questo momento tutti si sentono esperti psicologi terapeuti, persone giuste per dar consigli, ma chi più di una mamma e di un papà potrebbe indirizzare i propri figli?
Impegniamo questi ragazzi nello studio serio nel volontariato nell'aiuto reciproco; facciamoli parlare, raccontare, non lasciamoli in balia dei social di un telefonino di un computer fin dalla tenera età, perché questo vuol dire anche un po' abbandonarli a se stessi ed alla solitudine, il male peggiore, soprattutto in tenera età. Qualcuno dice che è una emergenza educativa, che è mancanza di valori, ma come si è arrivati a questo?
Cos’è questo malessere che vivono i nostri giovani, ma ahimè anche i meno giovani?

Riflettiamo e facciamoci aiutare, da buoni esempi, da buone letture e dal nostro cuore.  
         
(tutti i diritti riservati@)
Giuliana Pedroli, giornalista
                        

Traslocare è un fatto mentale



Traslocare è una delle attività che almeno una volta nella vita tutti abbiamo affrontato.

Traslocare vuol dire letteralmente passare da un luogo a un altro e questa operazione è in primo luogo un fatto mentale prima che fisico o geografico. L'origine della parola è latina ed è l'unione del prefisso "trans", che vuol dire "al di là",  "oltre" e "locare" ovvero collocare in un luogo. Traslocare vuol dire dunque spostare e spostarsi da un posto o sede a un'altra, trasportare e trasportarsi da un contesto ad un altro ed è in fondo appartenente alla categoria semantica del viaggiare. In tal senso, il viaggio è inteso come spostamento e come azione volta a creare rottura con uno stato di fatto e apertura a qualcosa di nuovo. Chi si accinge a traslocare mette in campo un'azione complessa, che parte da un'idea o da un insieme di idee, che devono, per forza di cose, trasformarsi in un progetto concreto per poi realizzare tutta una serie di azioni necessarie a raggiungere l'obiettivo, il fine, che in fondo coincide con la trasformazione di uno status quo.
Anche nei casi in cui il cambiamento di abitazione o sede - che in alcuni casi può essere sede lavorativa - sia desiderato e anelato in quanto foriero di un miglioramento nella propria condizione, anche in tal caso il trasloco è un'operazione faticosa e complessa perché implica l'abbandonare una situazione conosciuta su cui, nel bene e nel male, si è fatto un investimento emotivo e cognitivo, per lanciarsi in qualcosa di nuovo e sconosciuto. Se quindi il trasloco fisico non viene anticipato da un trasloco mentale e da un trasferimento di investimento emotivo, esso può diventare difficile da gestire perché mette in moto tutta una serie di vissuti, oltre che di dinamiche, con cui la persona deve fare i conti.
Prima di decidere di traslocare, quindi, è necessario che ci si prepari mentalmente a dare una svolta alla propria esistenza, cercando di concentrarsi soprattutto sui risvolti positivi che tale cambiamento sta per scaturire. In tal modo il trasloco può creare un'opportunità di crescita e di trasformazione. È importante attingere a quella linfa vitale che c'è dentro ciascuno di noi per affrontare il momento del passaggio con un atteggiamento positivo e costruttivo. L'evento, se elaborato e metabolizzato, da mero accadimento può trasformarsi in realizzazione di un progetto o anche di un sogno. (tutti i diritti riservati@)

Eleonora Castellano
Docente e psicologa

Nuovo libro di Eleonora Castellano "Oltre le apparenze" 



La tessitura di Penelope

 


Romamaggio 1946. La città, come del resto l’Italia intera, è caratterizzata da povertà post bellica, dagli Alleati ancora in giro a pattugliare e dalla speranza di un cambiamento alimentata dal referendum istituzionale e dall'elezione dell'Assemblea Costituente dei 2 e 3 giugno dove le donne voteranno per la prima volta. Delia, interpretata magistralmente da Paola Cortellesi, vive con un marito padrone e violento, per fortuna anche allora non tutti erano così, che al mattino la saluta con uno schiaffo, un suocero allettato per comodo e tre figli. Delia aspira ad una vita migliore per la primogenita fidanzata con un ragazzo della Roma bene, fa tutto per la figlia fino al paradosso. Qualcosa però spariglia le carte, l’arrivo di una misteriosa lettera metterà in discussione l’esito della vicenda.

“C’è ancora domani” ha la grande capacità di condurti in un illic et tunc, in un là e allora, temporale e psicologico di straordinario impatto, non perché è in bianco e nero come spesso sono i ricordi, non perché è un resoconto storico di un’Italia che ci hanno già raccontato, ma perché lo sa fare muovendo emozioni, sentimenti, qualcosa di indescrivibile con le sole parole ma che le immagini, la musica, i volti e le loro espressioni sanno evocare. Dalla poltrona del cinema mi sono sentita trasportare con leggerezza, nonostante la tragedia di un marito padrone violento, un suocero indicibile, Delia mi ha fatto entrare in scena. Come la Cortellesi stessa ha dichiarato c’è molto dei racconti della nonna in ciò che ha inserito nella pellicola, una narrazione che racconta la nostra origine di donne: tutte noi veniamo da quel dopoguerra. Mia nonna mi ha parlato spesso di ciò che ho visto e ascoltato nel film forse anche per questo sono riuscita a immedesimarmi così facilmente. Una narrazione cinematografica capace di rendere attuale ciò che siamo stati per trasmetterlo a chi queste storie non le ha mai ascoltate. Abbiamo visto una madre pronta a dare tutto per i figli anche a sottomettersi al marito, ma in realtà la sua è una sottomissione di facciata; Delia, la donna simbolo della battaglia femminile verso l’autodeterminazione, è l’icona di un sacrificio, quello in grado di spezzare una mentalità retriva che vede l’unica possibilità di riscatto sociale femminile nel matrimonio, costi quel che costi. Alla fine del film, mentre scorrevano i titoli di coda una forte emozione ha prodotto sul mio volto lacrime di gratitudine. Mentre percorrevo la strada verso casa, ho capito. Quel film mi rappresenta, ho visto il mio lavoro, la sorellanza di cui argomento, il riscatto femminile, le relazioni familiari e soprattutto la collaborazione con Alba Dell’Acqua (vice presidente MOICA e presidente MOICA Basilicata) con cui lavoro da dieci anni a progetti come quello sul lavoro invisibile femminile che il film mette in primo piano. Delia fa diversi lavori per contribuire al ménage familiare e vestita con lo stesso abito logoro e rappezzato cuce per i ricchi, fa loro le punture… e manda avanti la casa senza alcun riconoscimento sociale. Grazie alla Cortellesi ho, abbiamo, visto in scena il nostro percorso e il nostro lavoro. Abbiamo visto “La tessitura di Penelope”, il progetto che abbiamo messo nero su carta già da qualche anno, un progetto creato per parlare del lavoro invisibile delle donne della Basilicata ma che deve andare oltre la regione per diventare nazionale. C’è ancora domani, mi sono detta, e con una proiezione ottimista al futuro siamo sempre al lavoro per realizzare il riconoscimento del lavoro invisibile femminile di ieri e di oggi. Senza il pieno riscatto del passato non ci può essere un vero futuro di parità. E dopo aver viso il film, siamo ancora più determinate con il nostro decennale impegno a promuovere e realizzare l’educazione sentimentale che si apprende, soprattutto, con l’esempio d’amore.

Maria Giovanna Farina, filosofa

(pubblicato su Il Mattino di Foggia, novembre 2023)

 

 

 

 

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