martedì 23 aprile 2024

I sogni son desideri?

 


Oniricon, opera di Flavio Lappo artista che rappresenta i sogni


Il sogno da sempre accompagna l’esistenza dell’uomo che affascinato dalla propria vita notturna si spinge alla ricerca del significato. E se non ne avesse alcuno?

Aristotele, vissuto nel IV sec. a.C., sostiene che non c’è miglior interprete dei sogni più dell’uomo che sa comprendere similitudini e metafore. I nostri sogni sono ricchi di queste immagini molto condensate che esprimono pensieri e mettono in scena le situazioni più disparate: imparare a decodificare i messaggi notturni è un importante traguardo per comprendere come i nostri sogni interagiscano con la veglia e come siano portatori di utili suggerimenti. Fin dall’antichità i sogni hanno affascinato gli uomini. Gli antichi Egizi li ritengono messaggeri degli dei, sono stati proprio loro a scrivere 1300 anni prima di Cristo uno dei primi libri sull’argomento dove hanno raccolto i messaggi divini. Gli Egizi sostengono la teoria degli opposti, ad esempio sognare la morte di qualcuno vuol dire augurargli una lunga vita e questa idea è rimasta anche nella nostra cultura popolare. Pure la Bibbia è ricca di sogni come messaggi di Dio, pensiamo ai sogni del Faraone e all’annunciazione dell’angelo a Maria nel Vangelo. E che dire di Omero quando ci narra dei messaggi che Zeus manda agli uomini attraverso i sogni? Ipnos è la divinità greca del sonno, gli antichi Greci hanno creato dei luoghi sacri deputati al sonno: grandi sale dove gli ospiti possono bere sostanze particolari a base di droghe che gli permettono di cadere subito in un sonno profondo. Al risveglio gli oracoli interpretano fortune o sciagure a seconda dei simboli presenti nei loro sogni. Il filosofo greco Platone (V sec a.C.) per la prima volta dice nel dialogo Repubblica che i sogni rivelano la vera natura dell’uomo, ma sono interessanti anche le considerazioni di Aristotele quando sostiene che i sogni possono predire un’incipiente malattia dai sintomi non ancora avvertibili. Le teorie di Platone e Aristotele sono state riprese e rielaborate dagli studiosi del nostro tempo.

Il primo grande libro sui sogni fu l’Oneirocritica di Artemidoro di Grecia nel II sec. d.C. si tratta di un’opera in 5 volumi, pubblicata per la prima volta in Inghilterra ha riscosso un tale successo da essere riedita per 24 volte in un secolo. In questo libro Artemidoro sostiene un’interessante teoria: uno stesso sogno se fatto da due persone diverse ha significati diversi. Questa è una visione moderna che sancisce l’importanza soggettiva della produzione onirica. Egli è stato un grande anticipatore delle recenti teorie sul sogno, anche se ritiene che essi siano infusi dagli dei. Si è concentrato sui quelli ricorrenti sostenendo, come fece Jung duemila anni dopo, l’idea del “grande sogno” quello potenzialmente più importante che ritiene il più difficile da interpretare.

I Romani invece credono alla teoria della divinazione e molto nei sogni premonitori (uno per tutti Cicerone); Galeno vissuto fra il 130 e il 201 d.C. sostiene invece i sogni diagnostici. I Romani si basano comunque sui simboli universali. I moderni interpreti a partire da Freud ritengono il sogno una produzione personale e il simbolo pur essendo comune all’umanità deve adattarsi al singolo individuo.

Secondo Martin Lutero, il padre del protestantesimo, i sogni ci aiutano a riconoscere i nostri peccati. In un testo indù “Brihadarmyaka-Upanishad”, risalente al 1000 a.C., si sostiene che il sogno, grazie alla perdita di ogni sensazione fisica e di ogni forma di inibizione far emergere la vera personalità del dormiente. Nel mondo islamico, uno scrittore arabo Al Mas’adi, ritiene il sonno “la preoccupazione dell’anima” dal momento che i sogni sono suggeriti dalle condizioni fisiche di colui che li vive.

Resta il fatto che ancor oggi non si sa perché si sogna, nonostante nel 1953 si sia scoperto che durante il sonno si alternano fasi di sonno R.E.M. (rapid eyes movements) a fasi di sonno non-R.E.M. e che nelle prime che sogniamo: nonostante tutto ciò la vera ragione del sogno non si conosce! Nel 1900, Freud, medico neurologo e inventore della psicoanalisi, pubblica il celebre libro “Interpretazioni dei sogni” dove spiega che i sogni sono un’importante manifestazione della nostra vita interiore, lo specchio delle nostre aspirazioni segrete e dei nostri desideri nascosti, spesso rifiutati dalla mente cosciente. Secondo Freud, il sogno è formato da un contenuto manifesto (le immagini che ricordiamo) e un contenuto latente (con un significato) che è campo di indagine della psicoanalisi. Per Freud il sogno è il guardiano del sonno infatti, esprimendo la vera natura dei nostri desideri in forma dissimulata, consente al dormiente di riposare tranquillo.  Secondo Freud, nel sogno agisce la censura che spesso ci impedisce di pensare ai nostri desideri più profondi e alle nostre inclinazioni, per il padre della psicoanalisi il motore del sogno è il desiderio. La censura impedisce ai nostri pensieri di raggiungere la coscienza, ciò è possibile solo se essi vengono camuffati tanto da non rivelare il loro vero significato. La difficoltà nell’interpretare i sogni è determinata dalla problematicità di vincere il censore che c’è in noi. Secondo Freud per interpretare bene un sogno bisogna mettere in evidenza l’episodio che ha colpito maggiormente il sognatore, ma senza voler trovare un significato a tutti i costi. Egli era convinto che il vero significato del sogno si sarebbe manifestato solo dopo aver analizzato con l’aiuto del sognatore le diverse parti del sogno. 

Facendo un salto di molti anni giungiamo alla originale considerazione dei sogni di uno studioso americano, lo psichiatra Allan Hobson autore di un celebre studio pubblicato in Italia nel 1992 nel testo La macchina dei sogni, Giunti editore. Per Hobson la fonte dei sogni sarebbe una scarica di impulsi nervosi che parte dal “ponte”, una piccola area alla base del cervello, e “attiva” le cellule della corteccia cerebrale (preposta alla maggior parte delle funzioni cerebrali superiori). Queste scariche provocano immagini e sensazioni che poi il cervello “sintetizza” secondo un significato fortuito: per questa teoria i nostri sogni non avrebbero quindi alcun significato nascosto. Il sogno deve essere letto e non interpretato: questo è il ribaltamento totale di Hobson, di conseguenza non è il desiderio il motore del sogno bensì il sogno è solo una sintesi degli eventi della nostra vita.

Tutto il millenario discorso fatto fin qui deve aiutarci a considerare i sogni come una risorsa autoprodotta, un racconto autobiografico, una testimonianza della nostra esistenza ricca di tutto ciò che siamo. Leggendo e rileggendo il nostro personale testo onirico con le competenze dei filosofi, di Freud e della Psicoanalisi, ma anche con ciò che in modo più pragmatico ci ha detto uno scienziato come Allan Hobson possiamo comprendere qualcosa di più del nostro “lato meno evidente”. Il sogno può essere considerato uno strumento del “conosci te stesso” che dall’oracolo di Delfi ha fatto un lungo cammino fino a raggiungere l’uomo contemporaneo. Freud e Hobbson sono due opposti, noi da filosofi cerchiamo di stare nel mezzo.

Maria Giovanna Farina 

venerdì 1 marzo 2024

In ricordo di Lucio Dalla

 


Lucio Dalla vivrà in eterno, le sue canzoni ci hanno accompagnato per tanti anni della nostra vita con il loro stile inconfondibile, credo sia questo soprattutto a rendere immortale un musicista: quando non lo si confonde con nessun altro. La sua prima canzone per me è stata 4 marzo 1943, ero una bambina e lo ricordo a San Remo sul palcoscenico dell'Ariston quando la televisione era ancora in bianco e nero. Poi crescendo ho ascoltato tante altre creazioni da Piazza grande, L'anno che verrà, a Futura, Anna e Marco fino a Balla balla ballerino, Settima luna...e poi ancora quando adolescente non ero più. Non le ricordo in ordine di tempo, queste sono le prime che la memoria ha rievocato: a tutte queste canzoni è legato un ricordo della mia vita. Certi personaggi non dovrebbero mai morire, per loro le leggi dell'universo eccezionalmente dovrebbero essere sospese. Scomparendo portano con sé anche una parte della nostra vita, ma non il ricordo perché Lucio Dalla è un grande artista che ci ha aiutati a crescere, a sentirci meno soli, a vivere insieme. Rammento un suo concerto in piazza Duomo del 1981, erano i tempi in cui indossava il baschetto blu di maglia: pioveva, la piazza era strapiena, lui impassibile con un impermeabile giallo si esibiva per tutti noi. Tanti anni dopo nel 2004 ero a teatro per assistere alla sua opera Tosca, amore disperato, ritornata a casa ho scritto queste righe che sento molto adatte alla circostanza:

Tosca, la celebre opera di Puccini reinterpretata da Lucio Dalla, trasmette qualcosa di insolito che va al di là della semplice emozione che un amore tragico come quello dei due protagonisti, Tosca Florio e Mario Cavaradossi, suscita. I rifacimenti sono spesso molto discutibili e a volte nascondono l’incapacità di un artista di produrre qualcosa di nuovo, ma in questo caso l’interpretazione di Dalla regala nuove suggestioni. La trama dell’opera pucciniana è fedelmente riproposta, ma tutto il resto è libera creatività. Le musiche, i costumi, le coreografie e il cast coinvolgono lo spettatore in un susseguirsi di emozioni da montagne russe. La musica, le voci e le immagini di scena sembrano preludere un uragano di passione per poi riportare immediatamente in una condizione di malinconia, come se qualcosa di bello stesse per accadere e poi non trovi realizzazione. Questa situazione lascia col fiato sospeso e con un certo sconforto nel cuore, lo spettatore com-patisce (nel senso di patire con) lo stato d’animo dei due innamorati che si nutrono della loro passione, ma sentono la minaccia della fine incombere sulla loro unione. Tosca e Mario, amandosi perdutamente e disperatamente, diventano un simbolo dell’Amore che supera le rigide barriere della convenzionalità per raggiungere l’Assoluto: chiunque ami è qui rappresentato. Un altro aspetto particolare di quest’opera è la capacità di portare, in alcuni momenti, ad un punto alto di commozione per poi introdurre una parentesi quasi comica capace di interdire il pianto che stava per sgorgare. Apparentemente può significare una volontà di sdrammatizzare, in realtà credo sia il voler mettere in scena gli opposti: tragico e comico nella vita spesso si incontrano cercando di contendersi il primato. La rappresentazione, davvero originale nel mettere insieme generi musicali differenti, si conclude con il messaggio che i grandi amori vivono oltre la morte e, certamente, oltre ogni tentativo di inficiarli. Mi ha colpita Iskra Menarini che nel ruolo di Sidonia, personaggio creato da Dalla, è la splendida interprete di “Amore disperato”, il leit motiv dell’intera rappresentazione. Lucio Dalla tiene d’occhio costantemente la sua creatura aggirandosi in sala, ma appena ti accorgi della sua presenza si dilegua con l’agilità di un gatto e scompare come una visione.

Maria Giovanna Farina

 

giovedì 1 febbraio 2024

Nuovo romanzo di Franco Pulzone


E' in libreria il nuovo lavoro, patrocinio del Comune di Viareggio, di Franco Pulzone, scrittore, poeta e presidente dell'associazione culturale Medusa di Viareggio. 
Una trilogia (La cruna delle stringhe, Il caso, Alieno) Pezzini editore.

Le parole dello stesso Pulzone ci indicano l'intento e la finalità dell'opera:

"Ho scritto Alieno perché il rapporto tra le civiltà è cambiato dopo la caduta del muro di Berlino che determinò, se pur lentamente, l’implodere delle diverse strutture socio-economiche e culturali tra le Nazioni. Cominciando a distruggere quel vecchio sistema dove la centralità dell’uomo era al centro di tutto, ciò che ad oggi non è più così. Ritengo quindi necessario che l’uomo potrà tornare ad essere centrale nella nuova civiltà industriale, ma solo se sarà coscientemente capace di rinnovarsi ristrutturando i propri punti di forza che sono: la famiglia, la scuola e l’ambiente. Solo in questo modo è possibile affrontare le sfide quotidiane e quelle future, rendendo così capaci le nuove generazioni di riuscire a dare le giuste risposte alle diverse sfide che sempre si riproporranno. Credo sia necessario revisionare i valori sopra citati, che rendono l’essere umano speciale ed insostituibile. Solo così saremo all’altezza di riposizionarci al centro di ogni mutazione futura e già in corso, come l’intelligenza artificiale, sapendo trovare il giusto equilibrio con l’altra monade ambientale che ci permette di esistere, dove la libertà di ogni diversità culturale e non, servirà per convivere in pace"

Link acquisto libro 

https://www.pezzinieditore.com/prodotto/alieno/


Franco Pulzone, presidente associazione culturale Medusa di Viareggio. Scrittore e poeta con un importante impegno culturale e sociale.

mercoledì 31 gennaio 2024

Il collezionista di Barbie

Gianni è un collezionista di Barbie, ne possiede una quantità innumerevole e il suo desiderio di acquistarle non conosce tregua. Cosa si nasconde dietro questo ossessivo rituale? Una storia vera.


Gianni ha quasi trentacinque anni e da sempre è tormentato dalla femminilità. Da bambino giocava con i maschi che lo avevano sempre un po’ attratto, anche se i loro giochi non lo divertivano molto. Pur di condividere dei momenti con loro si inventa un ruolo che spesso era quello di vittima o preda, bastava un piccolo tocco di femminilità, come un foulard che sventolava a mo’ di capelli al vento, per farlo sentire a proprio agio in quel gruppo di monelli. In questo modo poteva mimare una femmina che deve difendersi dagli assalti dei maschi; senza che i suoi compagni di giochi se ne rendessero conto offriva loro l’opportunità di manifestare l’istinto predatorio che poi nell’adolescenza emergerà con tutta la sua irruenza sessuale. E’ proprio nell’adolescenza che Gianni vive la prima disillusione quando i suoi compagni di gioco lo ignorano, preferendo le ragazze. Questo rifiuto è doloroso ma utile per iniziare a prendere in considerazione la sua omosessualità; verso i 16 anni inizia la prima relazione omosessuale della sua vita con un uomo molto più grande di lui. La storia si rivela presto coinvolgente: Gianni considera, ancora oggi, questo uomo il suo unico grande amore.  

  Quando la relazione si conclude, Gianni vive molte altre esperienze sessuali senza più trovare coinvolgimento e passione. Inizia così a sperare di essere eterosessuale, convinzione rinforzata dalla grande attrazione che prova per un particolare tipo di donna. Le ragazze che lo seducono sono alte, magre e con i capelli lunghi, possibilmente biondi, posseggono una buona dose di femminilità che si esprime nell’eleganza del portamento e nei modi di conversare. Ed è proprio durante una vacanza al mare che incontra una donna americana, Carol, che letteralmente lo travolge. Per la prima volta conosce quella che definisce la donna dei suoi sogni e trascorre con lei dei giorni di passione. Carol ama assecondare i desideri di Gianni e lui si tuffa nell’acquisto di numerosi capi di abbigliamento per rendere questa donna ancor più seducente. La biancheria intima non lo attrae particolarmente, infatti sceglie per lei completini molto semplici e castigati, al contrario le mise da sera che le fa indossare  sembrano state scelte con l’intenzione di attrarre gli altri uomini. Carol sembra una vera top model: tacchi vertiginosi mettono in risalto le sue gambe lunghissime e mini-abiti aderenti lasciano intravedere ogni curva del suo corpo. Tutte le sere Gianni prepara gli abiti e gli accessori che la sua ragazza deve indossare e, in uno stato quasi estatico, dà inizio alla vestizione; per lui questi momenti sono molto appaganti e gli creano una forte eccitazione sessuale. Questo ultimo aspetto rinforza l’idea di essere eterosessuale.

  Il ritorno dalle vacanze coincide con il ritorno alla normalità e la lontananza impedisce che questa relazione possa continuare. Gianni trascorre un periodo di inerzia, ma si sente rassicurato per aver sperimentato una relazione così intensa con una donna. In questi mesi di solitudine sentimentale trascorre delle notti molto agitate, sogna spesso di essere vestito da donna, ma qualche particolare del suo abbigliamento non è mai come piace a lui e ciò gli fa provare una grande frustrazione. Proprio in questo periodo acquista la prima Barbie ad un mercatino dell’usato pensando di regalarla a sua nipote, in realtà il fascino che la perfezione di questa bambola esercita su di  lui non lo abbandonerà più: questo è il primo pezzo della collezione che in breve tempo occuperà un ampio spazio della sua casa.

  L’incontro con Paola lo distrae momentaneamente da questo chiodo fisso. Ora ha una nuova modella da vestire ed è disponibile tutti i giorni perché vive vicino a lui. Gianni decide che questa è la ragazza giusta e la presenta alla sua famiglia. Paola non ama farsi abbigliare come Carol, ma ha un corpo così ben fatto che il solo guardarla è un appagamento completo. Presto fissano la data delle nozze e partono per qualche giorno di vacanza al mare. Nella penombra della discoteca dell’albergo dove alloggiano, Gianni vede una figura ambigua e non capisce se è maschio o femmina, ma ne viene attratto in modo irresistibile, si avvicina e bastano due parole per sentire ancora quel forte coinvolgimento emotivo che da anni non provava più. Scopre di essere in compagnia di un uomo bellissimo.

  Questo nuovo incontro rompe il fidanzamento con Paola e riporta in primo piano l’omosessualità di Gianni. Senza più una donna al suo fianco ritorna il desiderio di possedere nuove Barbie; ogni sabato trascorre molte ore alla ricerca di pezzi rari per completare la sua immensa collezione ed inizia ad acquistare abiti femminili, parrucche e tacchi a spillo, ma questa volta per vestire se stesso. Tornano i sogni angoscianti che ben presto hanno come unico tema l’acquisto delle Barbie.

Eccone uno significativo: “Vado ad un mercatino dove in realtà non vedo tutte le bancarelle, ma focalizzo la mia attenzione su una gestita da una donna. Sulla bancarella ci sono delle Barbie (in realtà poche) ed io mi fermo a guardarle interessato, le prendo e le tocco come se fossi interessato all’acquisto. Più le prendo in mano più mi rendo conto che  aumentano di numero sopra la bancarella. Questo fatto mi fa venire una grande smania di acquistarle tutte. Le prendo in mano con il braccio sinistro, poi mi ci avvento sopra. Nel frattempo mi accorgo che ci sono Barbie nere che mi mancano e le voglio acquistare. Più le prendo in mano, più mi rendo conto che ce ne sono tante che mi mancano e la smania di possederle mi mette angoscia”.

In questo sogno è presente in modo accentuato il conflitto col femminile, qui vediamo Gianni alla ricerca di nuove Barbie. All’inizio la bancarella, che essendo gestita da una donna pone nuovamente l’accento sul femminile, ha poche Barbie, poi aumentano di numero più il sognatore le prende in mano. La Barbie, come tutti sappiamo, è una bambola con le fattezze di una modella dai tratti femminili perfetti; la possiamo considerare l’ideale femminile, il modello con cui ogni donna, almeno una volta, si è confrontata. Con la consapevolezza dell’età adulta ci si rende conto che è uno stereotipo della bellezza femminile, un modello irraggiungibile e come tale da scartare. Voler diventare come la Barbie porta continue frustrazioni e prepara un terreno fertile che favorisce l’insorgere di alcuni disordini del comportamento alimentare come può essere l’anoressia. Porsi dei buoni obiettivi è utile per la crescita, ma se questi sono troppo al di sopra delle nostre possibilità si ottiene l’effetto contrario. Insomma si può diventare donne seducenti anche senza possedere gli attributi di una top model.

  Più Gianni prende coscienza della femminilità, più questa assume infinite sfaccettature (le Barbie così, come le espressioni della femminilità, sono moltissime), allora si rende conto che la sua corsa all’acquisto della femminilità è qualcosa di non realizzabile e il suo bisogno coattivo di appropriarsene testimonia l’incapacità di porsi in una relazione adulta col femminile, limitandosi a possedere solo tante copie dello stereotipo. Ma questa strategia è destinata al fallimento perché invece di colmare un vuoto sembra alimentare un circolo vizioso. Il fatto che all’inizio le Barbie siano poche dà a Gianni l’illusione che la sua conquista del femminile sia giunta al termine, ma questa certezza svanisce quando si rende conto che le Barbie non finiscono mai, come se il compito che si è dato si fosse rivelato impossibile. Troverà sempre qualcosa che gli manca, la Barbie nera ben rappresenta questa idea. Gianni prende in mano le nuove Barbie con il braccio sinistro, quasi a voler simbolizzare una certa indecisione, altrimenti avrebbe usato il braccio destro che per l’inconscio è quello dell’azione. Poi la smania di entrare in contatto con la femminilità è così forte che si avventa sulle Barbie. Il suo è un atteggiamento simile a quello del bambino piccolo tutto teso a nutrirsi senza porsi alcun limite. Da questo bisogno di incorporare deriva l’ansia e la spinta, per il sognatore, ad una incessante coazione a simbolizzare il femminile che gli sfugge, rappresentato appunto dal continuo acquisto di Barbie.

  Questo sogno ci aiuta a capire come la mancata conoscenza della propria componente femminile, che in ultima analisi esprime solo con il travestitismo, unita all’omosessualità, crei il disagio relazionale di Gianni. Finché c’è da esternare la propria femminilità attraverso una donna da vestire, l’ansia è sotto controllo e l’eccitamento sessuale gli fa sperare di essere eterosessuale, anche se è un’eccitazione di natura narcisistica. La donna che desidera possedere è una proiezione di sé, è la concretizzazione della propria componente femminile. Amando quella donna in realtà ama se stesso, quella parte di sé che altrimenti rimarrebbe senza volto. Il quadro si complica, Gianni non si accontenta, ricerca una femminilità perfetta, lo stereotipo appunto. Il modello che si è prefisso è troppo alto, la Barbie nella sua perfezione gli provoca continue frustrazioni e lo spinge alla ricerca continua e ossessiva di una condizione irrealizzabile. Resosi conto di ciò, Gianni crede di trovare una via d’uscita nel travestitismo e trascorre le sue serate di svago vestito da donna con la speranza di attrarre i maschi eterosessuali. Nonostante la cura e l’eleganza con cui appare in pubblico, non riesce nel suo intento e da lì inizia il suo percorso alla ricerca di una femminilità tutta esteriore, anch’essa impossibile da trovare. Si indebita per eliminare la barba ritenuta un intralcio per il suo progetto, si tinge i capelli biondo platino….e pian piano sprofonda nella depressione perché queste modifiche al suo corpo non fanno che allontanarlo sempre più dalla bellezza perfetta di Barbie. Era un bel ragazzo, con un corpo atletico e un viso solare, il suo sguardo emanava un fascino naturale che ora è stato sostituito da un’inquietante tristezza.

 Non è riuscito a comprendere che la femminilità che stava cercando con tanta irruenza era quella interiore; avrebbe potuto trovarla solo attraverso una proficua relazione, ma la mancanza di strumenti relazionali e il suo fermo rifiuto alla possibilità di un confronto con chi lo avrebbe potuto aiutare ha reso impraticabile ogni percorso finalizzato alla ri-cerca di sé.

Maria Giovanna Farina (Babilonia, marzo 2004)


martedì 5 dicembre 2023

RIFLESSIONE SUI PRINCIPI E SULLE VIRTU’ DELL’UOMO

 


Troppo spesso capita di sentire complimenti “esagerati” per azioni che dovrebbero essere  parte integrante della nostra quotidianità. Quante volte oggigiorno vediamo una persona aiutare un anziano ad attraversare la strada? Cedere il posto sull’autobus o sul treno (dove esistono posti 
riservati a donne in dolce attesa e signori di età avanzata, ma puntualmente sono occupati nonostante ce ne siano di altri vuoti)? Farsi carico della loro borsa della spesa? Sono eventi rari, già il fatto che vengano considerati eventi e non la normalità la dice lunga su come si stiano evolvendo verso il regresso i nostri principi e la nostra morale e le poche volte che succedono è solo perché vediamo persone veramente bisognose di aiuto. Solamente nel momento in cui non aiutare una persona rischia di diventare, agli occhi dei presenti, disumano, forse, ci sentiamo in dovere di agire. Ci stiamo trasformando in un popolo cieco, non come difetto fisico ma come principio naturale, insomma, un difetto dell’anima. Non ci poniamo mai nei panni del nostro prossimo che ha, o quantomeno potrebbe, avere bisogno di noi. Preferiamo non vedere, o meglio, far finta di non vedere e continuare a pensare a noi stessi. La vista si sta annebbiando, ma l’udito e la favella funzionano benissimo quando mettere in cattiva luce è uno dei maggiori argomenti di dialogo. E’ inutile girarci intorno, non sappiamo parlare d’altro che di cose futili. Giusto poco tempo fa al supermercato m’è successo casualmente di fare un esperimento mentre stavo in coda alla cassa. Solitamente appena si arriva a pagare il conto della spesa siamo circondati da chewing-gum o caramelle di ogni sorta invece quel giorno, il caso ha voluto che, sopra tutti questi dolciumi, ci fossero due vasetti di yogurt, chiaramente fuori posto. Non mi sarei mai aspettato che la gente abbandonasse la fila per andare a riposizionarlo. Non era nemmeno necessario arrivare a tanto. Bastava consegnarlo semplicemente alla commessa. Ebbene, esperimento riuscito! Nessuna delle persone che avevo davanti a me s’è posta il problema di trovare una soluzione al povero yogurt abbandonato.  Poteva tranquillamente restare al calduccio lontano dal frigorifero, diventare guasto ed essere buttato o, nel peggiore dei casi, a fine serata essere riposizionato come se nulla fosse nel suo frigorifero. Allora m’è sorto il dubbio: cosa può spingere le persone a ignorare questi piccoli gesti che dovrebbero essere alla base di una società civile? Stiamo perdendo di vista il reale significato di giusto e sbagliato? Di dovere o pretendere? Chi lo sa. La certezza è una, qualunque evento accade per causa nostra è sempre in buona fede e senza nessuna cattiveria di fondo. Questo avviene perché tutti i giorni conviviamo con il nostro modo di fare che non sarà il migliore, ma siamo così presuntuosi da ritenerlo tale. Ma se commette un errore una persona che non conosciamo o a noi non particolarmente simpatica allora brandiamo saldamente la spada e sentendoci giudici condanniamo pesantemente quell’azione maleducata come se stessimo accusando  il peggiore dei delinquenti. Questo dimostra che siamo diventati ciechi nei confronti di noi stessi. Penso sia una delle cose peggiori che possa capitare ad un essere umano. Perché non vedersi vuol dire non essere in grado di confrontarsi con le altre persone, non vedere se in noi ci siano miglioramenti o peggioramenti, ergo, cadere nell’errore di pensare che, per quanto riguarda la nostra persona, siamo a posto così. Rimaniamo in perenne stallo intellettuale. Ignoriamo cosa significa coltivare l’amor proprio. Dobbiamo mettere la nostra persona al primo posto delle nostre priorità. Non per vanità né tanto meno per egoismo. Il migliorare noi stessi aiuta a migliorare anche le relazioni con le altre persone. Ciò lo si otterrà solo se, prima di criticare chi sta di fronte a noi, ci poniamo una domanda: posso aver provocato io questa reazione in lei/lui? Insomma, per ogni nostra azione, per ogni nostro gesto o parola dovremmo farci un esame di coscienza e magari noteremo che un nostro amico ci risponde male o ci aiuta mal volentieri non perché s’è svegliato male lui o perché gli hanno dato buca ad un appuntamento, ma perché qualcosa che abbiamo detto o fatto l’ha urtato senza che noi ce ne accorgessimo. E’ come se tra due persone ci fosse un dipinto, solo uno dei due riuscirà ad ammirare l’opera d’arte, l’altro ne vedrà il retro. La stessa cosa capita quotidianamente, mai le persone vedono la stessa cosa, anche se all’apparenza può sembrare. Migliorarsi vuol dire basta cercare scuse patetiche. Ogni volta dobbiamo sempre giustificare qualunque cosa facciamo, sia nel bene che nel male, non ci assumiamo mai le nostre responsabilità. Ciò vuol dire farsi carico di noi stessi e non soltanto a parole dove troppo spesso si sente: “ mi  assumo sempre le mie responsabilità!”. No, se fosse un’affermazione vera e intrinseca del nostro modo di essere che motivo avremmo di rivendicarlo a parole? Il tempo è galantuomo, basta avere pazienza ed esso svelerà sempre la nostra reale natura, una persona può continuare ad ingannare con belle parole, ma difficilmente riesce ad ingannare la realtà della sua natura. Pertanto dobbiamo responsabilizzarci anche nei fatti. Le parole sono tutti molto bravi a cambiarle. Pure noi stessi non formuliamo quasi mai correttamente, a parole, un concetto che abbiamo in testa. Da come 
pensiamo un concetto a come lo esprimiamo subisce già una modifica, immaginiamo che modifica ulteriore possa subire da come lo esprimiamo noi a come lo interpreta il nostro interlocutore. Proprio per questo motivo sono i gesti quello che contano. Kant, uno dei massimi filosofi 
moderni, diceva che:” Puoi conoscere il cuore di un uomo già dal modo in cui egli tratta gli animali.”  Noi ci sentiamo sempre superiori a certi pensieri, nemmeno ci sfiora l’idea di fermarci a riflettere su un’idea così banale che, tra l’altro, fondamentalmente non abbiamo nemmeno 
capito. Questo accade perché viviamo in un mondo dove le persone appena finiscono di lavorare vogliono rilassarsi, accendere il televisore per ore e ore passando da reality a fiction che, per quanto possano essere di intrattenimento, non trasmettono niente o molto poco di quello che 
interessa a noi adesso. L’amor proprio. Il peggio arriverà quando certi valori si dovrà passarli di padre in figlio. Cosa trasmetteremo? Nulla. Una cosa non troppo complessa e fondamentale potremmo provare a farla nostra per poi trasmetterla. Insegnare a dubitare. Il saper mettere in 
discussione le cose insegnatoci da Cartesio, saper scindere il buono dal non buono, approfondire senza mai fermarsi alla prima soluzione. Come spiega in maniera molto chiara e semplice Popper :” ogniqualvolta una teoria ti sembra essere l’unica possibile, prendilo come un segno che non hai capito né la teoria né il problema che si intendeva risolvere”. La verità è che dovremmo scendere dal piedistallo in cui continuiamo a vivere e iniziassimo a farci un serio e profondo esame interiore. Nel momento in cui succede qualcosa dobbiamo smetterla di essere i primi a indossare la toga dei giudici o degli avvocati, ma indossare il proprio umile abito e prima essere pronti ad essere giudicati che a giudicare anche perché, come spiega Socrate nel suo dialogo con “Gorgia”: Mi piace più ricevere obiezioni che farne: è molto più utile, così come è più utile essere liberati noi da una disgrazia piuttosto che liberarne un altro.”

(tutti diritti riservati@)

 Max Bonfanti, filosofo analista

Lavoro: un diritto o una chimera?

 



Da qualche anno ormai viene utilizzato lo strumento del Tirocinio per aiutare i giovani e i soggetti delle categorie fragili a trovare od a rientrare nel mondo del lavoro. Un tempo si chiamava periodo di prova o apprendistato.

Così, diversi centri o uffici sono nati per promuovere l’occupazione ovvero contribuire al miglioramento delle condizioni economiche e sociali, e per favorire, si dice, l’incontro fra chi cerca e chi offre lavoro.

Ma è davvero così?

Numerose testimonianze ci narrano invece, sovente, di tirocini di formazione volti all’acquisizione di competenze specifiche e di tirocini di formazione volti all’ assunzione come un qualcosa di ingannevole e illusorio, i quali si trasformano in estenuanti percorsi che non portano a nulla di concreto per il giovane od il lavoratore in cerca di lavoro. Non solo le persone non vengono realmente aiutate a concretizzare il progetto con cui vengono reclutate e illuse, ma anzi il più delle volte, vengono addirittura utilizzate, più che altro,  come risorse sottopagate ( sono previsti infatti 500 euro in media al mese come rimborso spese ) da gestire a piacimento tra le varie aziende che partecipano ai progetti , presso le quali, con la scusa del tirocinio rinnovabile, vanno in realtà a rimpiazzare posti momentaneamente vacanti o a rinforzare reparti sotto staff.

Per quanto sia stato più volte segnalato l’utilizzo fraudolento del tirocinio ancora non vi è una normativa specifica o sufficiente a vera  tutela dello studente o del lavoratore che si trova così a percorrere un sentiero difficile e pieno di insidie dove, non solo non viene adeguatamente formato e valorizzato secondo i progetti proposti in fase di reclutamento, ma piuttosto appiattito su posizioni anche di basso profilo al solo scopo di soddisfare le esigenze momentanee dell’azienda o del soggetto ospitante  tali da sentirsi talvolta anche ricattati a dover accettare pur di non essere esclusi e avere così un minimo anche non garantito per sopravvivere.

G.B iscritta alle liste di collocamento mirato legge 68/99 del centro per l’impiego di una grande città del Nord si affida così speranzosa all’ufficio di mediazione lavoro del Comune d residenza.  A seguito di vicende personali si trova ad oltre 50 anni a dover cercare con urgenza un lavoro e a distanza di qualche anno dall’ultimo lavoro svolto che aveva lasciato per seguire i figli piccoli. Dopo una serie di colloqui dove viene stilato, tra l’altro, anche un nuovo curriculum vitae in maniera professionale, la informano di un percorso di tirocinio ad hoc perché possa trovare quanto prima la sua collocazione definitiva nel mondo del lavoro.

Invitata ad un primo colloquio presso un’azienda scopre nello stesso momento che il primo tirocinio è solo formativo in una posizione ovviamente inferiore alle competenze acquisite nella sua carriera professionale precedente. Vista la necessità non può che accettare di buon grado. Terminato il periodo formativo di tre mesi con riscontro positivo, apprende che l’azienda non fa assunzioni di alcun genere e vorrebbe giusto prorogare il tirocinio perché ha occorrenza di personale. L’ufficio preposto non autorizza la proroga del tirocinio ma le propone invece un nuovo tirocinio questa volta promettono a scopo assuntivo. Tutto bene se non fosse che passano oltre 5 mesi in attesa del nuovo colloquio e tirocinio che doveva essere invece imminente. Finalmente un giorno arriva il benedetto colloquio per il tirocinio da avviare a scopo assuntivo presso un’azienda disponibile, sempre di tre mesi ovviamente, in una posizione inferiore alle competenze precedenti o maturate, più un mese per la documentazione necessaria per formalizzare l’assunzione, le viene comunicato dalla responsabile. In caso di riscontro positivo seguirà dunque l’assunzione. G.B. si rincuora e seppur stremata dopo un anno di attese e promesse procede fiduciosa. Ma è andata davvero così? Vi chiederete curiosi.

Il riscontro positivo c’è anche questa volta ma il tirocinio viene inaspettatamente prolungato di altri tre mesi con motivazioni di procedure varie e scuse che offenderebbero l’intelligenza di chiunque. 

Perché dovrebbero assumere se possono avere un lavoratore a disposizione a circa 4 euro l’ora si domanda adesso sconfortata G.B. Forse stanno aspettando la decisione di rientro o meno di un dipendente dello stesso reparto per decidere se procedere all’ assunzione? Stava forse sostituendo un altro dipendente in malattia a sua insaputa? Può forse chiedere garanzie circa l’assunzione prospettata e i tempi previsti? O deve sottostare ad ogni proroga non concordata in precedenza in attesa che la sorte sia dalla sua parte?

Il riscontro è positivo e l’assunzione garantita, le assicurano, ma nel frattempo passano altri   due mesi : “ E sa...non dipende da noi…sono i tempi burocratici .. capita anche agli altri “.

Le percentuali di assunzione secondo i dati ufficiale della Regione parlano però chiaro e sono davvero molto basse.

“Se le va è così altrimenti ci faccia sapere…” avanti forse un altro povero illuso studente o lavoratore?

Ma forse è meglio domandarci se occorrono più Santi in Paradiso, augurandoci che G.B. ne abbia trovati e sia stata nel frattempo assunta veramente con contratto indeterminato, perché il lavoro torni ad essere un diritto garantito in una società civile e non una forma ben architettata di sfruttamento o una semplice chimera. (tutti i diritti riservati@)

Antonella Massa, poetessa e scrittrice

 

 

Mi sarebbe piaciuto farvi sorridere, ma non è il momento….

 



L'intenzione e la volontà di cercare e trovare sempre la luce in fondo al tunnel, come è mia abitudine, questa volta è cosa difficile, perché stiamo vivendo un momento così particolare così duro così caotico che le nostre orecchie e il nostro cervello riescono solo a raccogliere cose funeste.

Sono seduta davanti alla televisione mentre scorre il telegiornale davanti a me; sto cercando di contare almeno quelle che sono le notizie, non dico belle, ma almeno quelle non brutte.
Non ce ne sono. Io, donna d'antan, ricordo benissimo quando avevo l'età delle giovani che sono protagoniste adesso di fatti di cronaca, di quello che succedeva anche a noi: ci poteva essere un fidanzato invadente un genitore opprimente una famiglia che magari non ti lasciava l'assoluta libertà…
Ma certo vivevamo in un mondo assolutamente diverso e adesso possiamo dirlo, certamente più bello.
C'è il famoso detto “si stava meglio quando si stava peggio”, un modo di dire che può rendere l’idea, almeno a me sembra, di quello che tutti noi stiamo pensando in questi giorni, ma ora, di fronte a queste realtà così sconvolgenti, e non sto parlando di ambiente guerre tragedie, sto parlando di rapporti umani, di rapporti umani che hanno perso ogni loro logica ogni importanza, rapporti umani che non esistono più perché esiste solo possesso prepotenza, la sfiducia è infinita.

Mi ritengo una persona sensibile, ma mai mi è capitato di scoppiare disperatamente in pianto di fronte a una notizia televisiva, di fronte a una lettura da un quotidiano, di fronte a un racconto di qualcuno che vicino a te o ai tuoi cari vive situazioni che non dovrebbero altro che far parte di libri dell'orrore. Quello che mi spaventa è la possibilità di assuefarsi, abituarsi a queste cose, fino ad arrivare al punto di alzare le spalle e dire - Beh è successo un'altra volta!
Penso che per prima cosa dobbiamo augurarci che non succeda mai, anche se naturalmente ognuno di noi deve fare la sua parte.
Soluzioni. Sapete che non ne vedo? si parla di educazione sentimentale, ma chi la deve compiere la famiglia la scuola l’esperto di turno…..

Non parlatemi di politica non parlatemi di questo ambiente che io voglio tenere lontano dalla mia vita, perché anche questo mi disgusta.
Rivalità aggressività cattiveria di uno contro l'altro, sentimenti che non fanno bene al popolo italiano e ancora meno bene fanno a ogni singola persona

Ma stiamo un po' uscendo dal seminato. Quello che mi ha ispirato il desiderio di scrivere è stato l'ultimo omicidio, quella della piccola Giulia, piccola perché aveva solo 22 anni, che era insieme a quello che viene definito un bravo ragazzo.
Come ogni nostra figlia, come in ogni nostra famiglia! quindi nessuno più è sicuro; parliamo di una buona famiglia, anzi due buone famiglie, che sono in questo momento unite perché vivono lo stesso grande dolore.
Entrambe hanno perso i loro figli, sia quella della vittima sia quella del carnefice. Ma mentre si parla di questa notizia ecco che il telegiornale si apre parlando dell’ennesimo gesto con l'acido per sfregiare una donna che ha detto il suo no.
Ci sarà mai una fine a questa storia, ci sarà mai una soluzione? Giorno per giorno i volti di quelle giovani donne che vengono in questi giorni pubblicate aumenteranno sempre di più, non è sconvolgente?
E mentre per questo si soffre, c’è chi si accapiglia per dare la colpa ad una parte o all’altra, agli uomini o alle donne, agli insegnanti o a chi ha la pelle di un colore differente dal nostro.

Ma che vergogna! Di che società marcia facciamo parte?

Lo so che non si deve fare di ogni erba un fascio, lo so che esistono intorno a noi ragazzi e ragazze per bene, giovani di buoni sentimenti, giovani che si impegnano studiano lavorano o vogliono crearsi una famiglia.

 Io non ho la fortuna di essere mamma, ma le amiche che lo sono hanno fior di ragazzi e ragazze che niente hanno a che fare e a che vedere con queste vicende della cronaca; rimbocchiamoci le maniche allora, lo facciano le persone che sono vicino ai giovani,

che parlano coi giovani, che insegnano ai giovani, ma ognuno di noi cominci da se stesso perché ogni piccola goccia di bene che noi proponiamo alla fine faranno un mare, un oceano di bene.

In questo momento tutti si sentono esperti psicologi terapeuti, persone giuste per dar consigli, ma chi più di una mamma e di un papà potrebbe indirizzare i propri figli?
Impegniamo questi ragazzi nello studio serio nel volontariato nell'aiuto reciproco; facciamoli parlare, raccontare, non lasciamoli in balia dei social di un telefonino di un computer fin dalla tenera età, perché questo vuol dire anche un po' abbandonarli a se stessi ed alla solitudine, il male peggiore, soprattutto in tenera età. Qualcuno dice che è una emergenza educativa, che è mancanza di valori, ma come si è arrivati a questo?
Cos’è questo malessere che vivono i nostri giovani, ma ahimè anche i meno giovani?

Riflettiamo e facciamoci aiutare, da buoni esempi, da buone letture e dal nostro cuore.  
         
(tutti i diritti riservati@)
Giuliana Pedroli, giornalista
                        

I sogni son desideri?

  Oniricon, opera di Flavio Lappo artista che rappresenta i sogni Il sogno da sempre accompagna l’esistenza dell’uomo che affascinato dalla ...