mercoledì 19 marzo 2025

Il grande dono della piccola Milly

 




il 7 ottobre 2024, la mia piccola Milly se ne è andata per sempre dopo una malattia, il cancro, che per fortuna non l'ha fatta soffrire: solo un po' dimagrita e indebolita. Se ne è andata in un secondo dopo aver fatto le feste come ogni mattina: non è ciò che desideriamo per chi amiamo? Sia esso un essere umano o un animale da compagnia speriamo che il passaggio avvenga senza sofferenza. L'amore, il vero amore, dovrebbe essere volere il bene dell'altro. Non nascondo di aver pensato: “Come faccio? Come posso sopportare la sua assenza? Non voglio più soffrire”. L'egoismo si è fatto vivo, inutile nascondere questo aspetto di noi, soffrire per una perdita è straziante e più l'amore è stato grande più sarà difficile elaborare il lutto. Come ci ha insegnato Sigmund Freud, che tra l'altro amava i cani e la sua ultima cagnolina Sophie gli è stata vicina fino alla fine della sua vita anche sotto la scrivania durante gli incontri con i pazienti, dobbiamo
elaborare il lutto. Questo difficile e doloroso passaggio consiste in tre fasi: la fase di diniego in cui si rifiuta la realtà della perdita e si cerca di continuare a fare le stesse cose come se chi abbiamo perduto sia ancora qui, la fase di accettazione nella quale viene ammessa la perdita e la fase di distacco con la capacità di poter investire su altre persone, animali, interessi o attività. È un percorso obbligato se vogliamo superare il dolore e mantenerci in salute nel corpo e nella mente e poi verrà il giorno che un nuovo animale entrerà nella nostra vita senza per questo scordare l'animaletto che abbiamo perduto. I canili sono colmi di amici a quatto zampe che esseri umani spregevoli hanno abbandonato e noi con un atto d'amore dobbiamo adottare.

Ciò che in questi momenti tristi mi risuona in testa sono le parole di papa Francesco che critica chi ama cani e gatti e non mette al mondo bambini. La Chiesa si è premurata di dire che non bisogna distorcere le parole del Pontefice perché Lui mette al centro l'uomo poi vien tutto il resto. Credo invece che il tutto sia collegato e che l'amore non conosca confini se non quelli che noi gli diamo. La mia esperienza di oltre quarant'anni di vita con un cane mi ha insegnato che ci sono famiglie felici con figli e con un amico a quatto zampe amato come uno di casa; i cani non sono il sostituto di nessuno, occupano il loro posto nella nostra vita che è solo il loro. Sono innocenti, fedeli e amorevoli esseri che per chi crede ha creato Dio e per chi non crede sono un grande dono della Natura. Benedetto XVI mi capirebbe visto che amava e viveva con i gatti prima di salire al Soglio di Pietro.

Non dimenticherò mai la mia piccola dolce Milly, lei continua a vivere dentro me. È stata una straordinaria e insostituibile compagna di vita. Ho scritto questo articolo come testimonianza, per dire che amare un animale aiuta a diventare esseri umani migliori; sono convinta che se si imparasse, senza condizionamenti culturali, a voler bene agli animali, a rispettarli, a considerarli soggetti e non oggetti al nostro servizio, in quel caso nel mondo ci sarebbe meno violenza, abuso e guerra. La definisco Pet-love-Therapy da inserire nell'educazione sentimentale contro ogni forma di violenza, essa ha inizio guardando negli occhi un cane: se si riuscirà ad abbandonare ogni resistenza, saremo sulla buona strada.

 Maria Giovanna Farina (marzo 2025 @tutti i diritti riservati)

La mia vita con Otto

 


La mia vita con Otto è iniziata tanti anni fa, quando avevo necessità di portare a casa un cucciolo per riempire una casa vuota.

Abbiamo sempre avuto cani grossi, a volte due in contemporanea, certi che si sarebbero fatti buona compagnia quando gli umani erano al lavoro, ma questo doveva essere speciale, questo doveva essere il mio compagno di vita e così, quando sono andata a scegliere in un allevamento importante il mio nuovo cucciolo (lo so che un cane va adottato e non acquistato, ma io cercavo proprio lui) mi sono trovata tra i piedi questa briciolina di pastore tedesco alsaziano che aveva 45-50 giorni. Avevo già adocchiato qualche altro esemplare un po' pò grande, ma la briciolina insisteva…La proprietaria dell'allevamento mi ha detto subito - no questo cagnolino non lo possiamo vendere perché ha un difetto e non possiamo far uscire dal nostro allevamento prestigioso un cane difettoso. A me sembrava perfetto, che difetto avrà mai, mi son chiesta…Chiedo come si chiama e così scopro che si chiama Otto.

- Otto? voglio proprio lui - No signora non si può

Siccome Otto era il soprannome nell'ufficio in Germania con cui veniva chiamato mio marito che era andato in cielo, potevo io lasciar perdere? Vi pare che io potessi cedere le armi e non insistere, quando a me era parso un segno del destino? No, ho detto, io voglio solo lui e quindi dopo una bella discussione l’ho spuntata. Non posso darle il pedigree, ma cosa vuole che me ne importi Non posso venderlo a prezzo pieno con fattura, meglio ancora…Alla fine il cucciolino è stato mio e ci siamo accordate che l’avrei ritirato allo scadere dei giorni dello svezzamento. Cosa aveva di così grave, questo terribile difetto in cosa consisteva? Semplicemente la sua zampotta posteriore sinistra non aveva il quinto dito, perché la sua mamma al momento del parto, podalico, inavvertitamente lo aveva strappato. Lo avrei preso anche senza la zampa intera, figurati un mignolino. Io già da allora sapevo che sarebbe stato un cane speciale, che avrebbe riempito ogni mia giornata di amore impegno e dedizione; e infatti Otto si è sempre dimostrato un cane molto buono molto obbediente. Dicono tutti gli addestratori, anche chi si è occupato di noi, che il proprio cane ti assomiglia. Io non urlo mai, non alzo la voce, non sono nervosa e il mio cane è esattamente così, tranquillo pacioso e non abbaia se non in momenti eccezionali. Abbiamo vissuto anni belli insieme e Otto, star di FB, è molto amato anche dai miei famigliari, amici, vicini, conoscenti che lo riempiono di dolcetti. In casa essendo solo io e lui ci siamo sempre di più affezionati: io sono il capobranco e lui sin da piccolo mi ha sempre guardato con i suoi occhi buoni con i suoi occhi adoranti dimostrando una piena fiducia in me. Lui lo sa che io non gli farei niente di male che non lo danneggerei mai e anche quando gli do un cibo o una bevanda sconosciuta, lui, non come fanno certi altri cani che prima assaggiano dubbiosi e poi si convincono, lui prende qualsiasi cosa da me perché sa che non lo tradirei mai, che sono solo cose che gli fanno bene. Quando qualche volta mi capita di toccarlo in una delle sue parti doloranti o magari mi capita di schiacciargli la coda, io dico subito - scusa scusa amore mio e lui lo sa che è stato una cosa accidentale e neanche fa il verso di lamentarsi. È stato così per questi dodici anni ed è così adesso, lui è un cagnolone sempre meraviglioso ma ormai parecchio anziano e in questo momento siamo due anime in pena, due vecchietti che si sorreggono a vicenda. Ci ha un po' influenzato negativamente anche il periodo del Covid; quegli anni e quel lockdown in cui abbiamo convissuto 24 ore su 24 un po' in casa un po' in giardino un po' nelle passeggiate all'esterno, ma sempre lui e io, io e lui da soli, sono stati un periodo in cui ci siamo proprio attaccati uno all'altro e adesso, in questo momento, questa è la cosa che crea più problemi perché certo, io non lo abbandonerò mai, ma faccio un po' fatica anche a lasciarlo a lungo. Ora che non sta benissimo, che è più insicuro, posso lasciarlo per qualche ora, ma non una giornata intera, tanto meno per una notte. Anche se durante i miei numerosi viaggi veniva accudito e coccolato da tante persone amiche, ora non si può, anzi nemmeno io lo voglio più fare. Prova ne sia che da quando lui non sta bene, e sono circa 2-3 anni, io sto fuori casa qualche ora al giorno per far poi ritorno o qualche ora il pomeriggio e poi ritorno, perché questo è il limite massimo che lui può sopportare. Lui sa, ed è così, che io da lui torno presto; che io esca a piedi o in macchina, da sola o con altre persone, io torno da lui sempre. E lo faccio con piacere. 


Non potrei davvero mai più stare fuori una notte, perché adesso sono sicura che una notte sarebbe per lui la fine, quindi io rispetto questa situazione, non esco né la sera né per giornate intere. Quando era piccolo amava dormire fuori, adesso esce solo in giardino per espletare i suoi bisogni con un occhio di riguardo alla porta (mica che si chiuda e lo lasci fuori); è anche molto furbo, molto astuto: siccome dopo un'uscita in giardino lo aspetta un biscotto, a volte chiede di uscire fa un giro intorno al portico e rientra. Questo per sottolineare che ha ancora una voracità che lo farebbe mangiare tutto il giorno. A fronte di un amore così grande non c'è né fatica né l’impegno che richiede l'accudimento di un cane di 55 kg, che tenga; tutto viene sempre ripagato in sovrappiù. Lui non lo sa di essere un cane di quella stazza, perché si è sempre mosso in modo agile, è sempre corso al cancello abbattendosi contro ad ogni suonata di campanello (certo la sua massa poderosa e la sua irruenza fa impressione a chi si trova al di là, se solo sapessero che appena dentro il cancello sarebbero solo annusati e leccati!); dicevo lui non sa di essere così pesante, infatti spesso appoggia il suo sederone sui miei piedi, come se fosse un peso piuma o in alte occasioni spinge per arrivare primo e rischia di farti sbandare o picchiare contro il muro…Sono delle sensazioni belle queste che mi uniscono al mio cane, il mio compagno di vita da tanto tempo; ormai senza di lui la casa sarebbe vuota e io lo so che questo prima o poi dovrà succedere. Gli altri miei cani tutti pastori, a 12 anni sono mancati; lui è ammalato, ma si gestisce molto bene le sue cose e io ho imparato a curarlo meglio di un veterinario, tant’è che anche le ultime visite di controllo sono state molto soddisfacenti. Quando lo guardo e gli parlo (io parlo con lui sempre) gli dico di non lasciarmi tanto presto e lui gira la testa verso destra e poi verso sinistra, con quel suo sguardo sempre innamorato che fa capire che sa intuire quello che gli dico. Lo so che quando succederà sarà una cosa terribile e succederà, ma questo non mi deve impedire di godere degli ultimi mesi/ anni che la vita insieme a lui mi può regalare. In casa gironzola in assoluta autonomia e indipendenza, anche una gattina (io adoro i gatti, esseri affascinanti e liberi), la quale appena arrivata in casa con questo pastore tedesco grande venti volte più di lei, quando non sapeva dove andare, si rifugiava di notte sul portico tra le sue zampe per ripararsi dal freddo, e anche ora sono grandi amici. La sera, quando io li ho ai miei piedi davanti alla televisione, si strusciano l'uno con l'altro e a volte si scambiano il cibo. E la casa fiorisce d’amore. Ecco, tutto qui, la nostra vita è bella e piena di peli! Penso che queste parole le leggeranno persone che sanno che cosa vuol dire avere e amare un animale o persone che hanno avuto un animale; agli altri sembra sempre strano e sciocco rinunciare a qualche cosa, a un viaggio a una festa a una cena, pur di non lasciare da solo il tuo cane, ma per noi non è così, vero?

Giuliana Pedroli, giornalista (marzo 2025 @tutti i diritti riservati)

Il nostro amore per Milly

Milly in viaggio con Maria Giovanna

 


Gli animali fanno parte integrante della nostra vita, sono molte le famiglie in cui c’è anche un animale che dà e riceve affetto. Sin dai tempi antichi, nella poesia e nel linguaggio comune, gli animali hanno spesso simboleggiato qualche aspetto dell’animo umano, buono o cattivo, portato all’eccesso. Da sempre infatti il cane simboleggia la fedeltà, il leone la forza e il coraggio, lo sciacallo la vigliaccheria. Pensiamo alla favola La cicala e la formica di La Fontaine dove la formica rappresenta la previdente laboriosità mentre la cicala l’imprevidenza e con il suo continuo cantare non pensa a far provviste per l’inverno. Questa, come tutte le altre favole, ha una morale che indica all’uomo la ragionevole via da seguire durante l’esistenza. Possiamo affermare che l’uomo vede nell’animale se stesso sia nelle parti nobili che in quelle meno nobili ed è questo il motivo prioritario per cui cerca la compagnia di un animale. Ma è anche vero che l’uomo pur essendo più intelligente non possiede alcune doti che invece possiede ad esempio il suo cane: il fiuto, l’udito e la sensibilità. C’è chi nel cane trova veramente un amico, può far sorridere vedere un uomo fare lunghi discorsi col proprio cane perché si è soliti pensare che esso non capisca nulla, in realtà se non afferra il significato di tutte le parole comprende il dolce suono di una voce ricca di affetto. E allora come mai ogni anno tanti animali da compagnia vengono crudelmente abbandonati? Perché l’uomo per natura non è un compagno fedele e troppo spesso dimentica la fedeltà ricevuta. Inoltre non considera il fatto che se pur meno intelligente l’animale non è un oggetto, ma un essere vivente che prova sensazioni ed emozioni. È una colpa essere meno intelligenti dell’uomo? Rispondiamo con una considerazione di Leonardo da Vinci il quale sosteneva che l’uomo sarà veramente civile quando tratterà gli animali come suoi pari.

Abbiamo voluto fare questa breve riflessione per dedicare il numero 51 de L'accento di Socrate al cane. Ci siamo resi conto quanto chi scrive da sempre su questa rivista ami gli animali e in particolare i cani, crediamo di fare un dono ai lettori aprendo la nostra anima e, mettendo a nudo i nostri sentimenti, abbiamo la speranza di lanciare un messaggio d'amore: i cani sono esseri speciali da amare per sempre anche quando non sono più tra noi come la nostra cara e tenera Milly che noi due abbiamo liberato insieme dal canile. Con noi ha condiviso la sua vita, una vita felice e piena di allegria, ha donato ad entrambi momenti indimenticabili. Perderla è stato straziante, ci resta il ricordo che è amore puro. Siamo felici di averla avuta nelle nostre vite. 

Milly appena uscita dal canile a 8 mesi

di Maria Giovanna Farina e Max Bonfanti 

(marzo 2025 @tutti i diritti riservati)

Anche gli angeli abbaiano

 


Non avevo mai visto in un cane tante caratteristiche e qualità appartenenti a razze diverse come in quello che casualmente incontrai un giorno passeggiando in un parco cittadino: orecchie ritte, corpo affusolato da bassotto ma zampe lunghe e magre da levriero, il pelame poi alternava zone rase ad altre lunghe e fluenti da collie e la coda murina sembrava mozzata a circa una spanna dall’attaccatura, per non parlare del colore che racchiudeva tutta la gamma. Un patchwork.

Ricordo che nel tardo pomeriggio di una calda estate di alcuni anni fa, l’estate più calda del secolo la definirono, per trovare un po’ di refrigerio decisi di andare a rinfrescarmi sotto l’ombra di qualche vecchia quercia. Non c’era molta gente, era quasi l’ora di cena e la maggior parte stava abbandonando il parco. Mi ero da poco sdraiato sull’erba sotto un maestoso ippocastano, la quercia non l’avevo trovata, che un cane dall’aspetto stravagante e un pezzo di corda sfilacciata che gli pendeva dal collare mi si avvicinò guaendo sommessamente. Lo guardai con più attenzione e scorsi una targhetta appesa al collare con inciso un nome, Peppino, e un numero telefonico. Subito pensai che si fosse perso anche se quell’avanzo di corda lasciava propendere per altre ipotesi. Ciò che però mi stupì non fu tanto il suo aspetto quanto il comportamento che insistentemente pareva chiedesse di seguirlo, cosa che feci. Subito iniziò a correre, fermandosi dopo qualche decina di metri per assicurarsi che lo stessi seguendo, per poi ripartire. Si fermò nei pressi di un cespuglio e cominciò ad abbaiare. Seminascosto dal fogliame giaceva rannicchiato il corpo di un uomo anziano privo di conoscenza, mi accertai che fosse vivo e immediatamente allertai il 118 che mandò un’unita mobile di rianimazione. Dopo meno di dieci minuti un’equipe di specialisti era all’opera lì, sul posto, non c’era tempo da perdere. Riuscirono a salvarlo in extremis e ricordo che andai a trovarlo all’ospedale, anche per chiedergli a chi dovessi affidare il cane. Quando capì che ero stato io a chiamare i soccorsi si perse in mille ringraziamenti ma io gli feci notare che il merito andava tutto a Peppino, il suo cane, che nel frattempo stavo tenendo in custodia. Meravigliato mi disse che non aveva alcun cane; più meravigliato di lui e non sapendo che dire non insistetti.

Peppino era con me da due giorni e visto che non era di quel signore decisi di chiamare il numero segnato sulla targhetta. Rispose una signora che assolutamente negava di avere un cane, tanto meno con quel nome che non riteneva adatto ad un cane e Peppino assisteva alla telefonata come se capisse che volevo privarmi della sua compagnia. Non guardarmi così, gli dissi, magari il tuo padrone ti cerca! Mi rispose con uno deciso scrollone come se fosse appena uscito dall’acqua. Cosa ci faceva quel numero sul collare del cane e quel pezzo di corda? Fu proprio quel pezzo di corda sfilacciata come se fosse stata rosicchiata che mi fece decidere di tenerlo. Peppino, e a questo punto non so nemmeno se fosse il suo vero nome, ma ormai avevo cominciato a chiamarlo così, era un cane molto particolare, capiva tutto quello che gli dicevo, capissi io quello che diceva lui!

Avevo iniziato a portarlo con me e ogni volta destava l’ilarità di quanti lo vedevano, non potevo dare loro torto, ma non posso neppure negare che la cosa mi desse fastidio. Ricordo che quando andavo in cerca di funghi ne trovava più lui di me, ormai eravamo diventati amici inseparabili. Un giorno, mi trovavo a trascorrere una breve vacanza in montagna nel rustico di un amico, pioveva da alcuni giorni e il torrente che passava circa una decina di metri al di sotto era diventato minaccioso. Ero in casa a preparare la cena quando Peppino mi fece capire di voler uscire, gli aprii la porta ma capii che non voleva uscire da solo, voleva che uscissi anch’io, ma pioveva a dirotto e francamente non avevo voglia di bagnarmi così addentò la camicia che indossavo e tirò forte verso l’uscita. Lo seguii all’esterno sotto lo scrosciare del temporale, fu un attimo e vidi franare la casa giù nel torrente. Peppino abbaiò come se volesse salutarmi, mi guardò intensamente per alcuni lunghi attimi e, voltatosi, lentamente si allontanò incurante della pioggia. Anche se rimase con me solo una breve estate, spesso lo ritrovo con grande gioia e nostalgia nei miei ricordi più intimi, ma quella fu l’ultima volta che lo vidi. 

Max Bonfanti, filosofo analista (marzo 2025 @tutti i diritti riservati)


Momenti dell'anima

Gaetano Attilio Andriolo è medico ma non solo, è un uomo colto che ama promuovere e diffondere la cultura. È infatti presidente dell'associazione Teseo a Milazzo, una ridente cittadina delle provincia di Messina. L'amore per la cultura di Andriolo è reale, l'ho vissuta conoscendolo di persona quando mi ha presentato un libro insieme al giornalista Francesco Anania. Ora ha finalmente dato alle stampe una raccolta di poesie che prende il nome da una delle prime poesie scritte dall’autore. La sua mi appare una lirica intimista dove l'autore sembra ripercorrere attimi di vita, ripensa e giunge al passato per rivivere emozioni e contraddizioni: rivive la vita. (a cura di Maria Giovanna Farina)


Momenti dell'anima” è acquistabile scrivendo a associazione.teseo@tiscali.it


Momenti dell’anima


Voglia di gridare

E poi fuggire.

Voglia di soffrire

E poi piangere

Voglia di non esserci.

Accade in uno spazio senza tempo,

Notti da ricordare.

Rincorri teneri sguardi

Sopporti il peso dei suoi respiri

Catturi dolci pensieri

Avverti i fremiti del suo corpo.

Adesso ti assalgono i ricordi,

Colori di emozioni lontane.

Ci rivedremo una, due, mille volte

Che importa?

Assaporo l’attesa.

Sottile confine fra fuggevoli momenti

di felicità mai sopite,

E il silenzio 

Che non cerca parole

Che cattura i rimorsi della mia anima.


Per fortuna e purtroppo

 



Il libro di Emanuele Carioti, giornalista e scrittore, Per fortuna e purtroppo, è l'ultima intervista al Grande Franco Califano, ma non solo perché l'autore contestualizza abilmente il suo percorso di conoscenza e frequentazione con il Maestro durato 24 anni. Suggerisco questo libro per il suo valore di testimonianza diretta e la gradevolezza della scrittura dove è presente un affetto e stima per l'artista e l'uomo Califano.

Ecco il link dell'intervista in video che ho fatto a Carioti in collaborazione con Momenti in TV e Radio Filosofando con Maria Giovanna Farina 


I nonni nel tempo

 


Non è tanto l’età in cui si diventa nonni a rendere queste care persone più vitali e dinamiche di quelle di un tempo, che a ben guardare non si discosta molto da quella del passato, bensì lo stile di vita che oggi è notevolmente migliorato: le lunghe ore trascorse negli opifici e soprattutto la dura vita nei campi senza grandi ausili meccanici rendeva le persone già vecchie a cinquant’anni. La società attuale si è trasformata radicalmente, le famiglie sono costituite spesso da un piccolo nucleo e soprattutto nei grandi centri urbani non esistono più quelle allargate anche per la difficoltà economica di trovare abitazioni sufficientemente ampie da accoglierle. I nonni quindi abitano da soli o magari con qualche altro figlio non ancora sposato, si deve infatti tener conto che l’età dei figli che vivono con i genitori è aumentata rispetto anche a quella di poche decine di anni fa sia per la difficoltà nel reperire posti di lavoro a tempo indeterminato che abitazioni a prezzi ragionevoli. I nonni sono diventati moderni fruitori delle nuove tecnologie, usano il computer, navigano in internet e vanno in palestra, ma restano pur sempre miniere di esperienze importanti da tramandare e sono sempre in grado di trasmettere affetto ai nipoti. Ogni nonno ama profondamente i nipoti perché sono i figli dei loro figli: c’è un doppio legame che unisce quando si ritrova nei nuovi nati la continuazione della propria genitorialità

L'importanza dei nonni nasce dalla loro esperienza, un patrimonio di memoria a cui è fondamentale attingere. Possiamo dire che i essi siano un bene prezioso da salvaguardare. Anche per queste ragioni, oltre a quelle economiche con le quali bisogna in moltissimi casi fare i conti, sono un importate punto di riferimento da preferire all'asilo nido e alla baby-sitter. I nonni spesso posseggono una maggiore pazienza nella relazione con i nipoti perché sono più esperti, detto banalmente “ci sono già passati” e sanno come rispondere alle richieste dei nipoti che amano tanto farsi raccontate la storia della loro vita, le avventure e perché no, i loro amori, come hanno conosciuto la nonna, il nonno. Un altro particolare da non sottovalutare è che i bambini con la possibilità di relazionarsi anche con le persone anziane riescono ad avere una formazione psicosociale più completa.

I nonni hanno più tempo e credo che l'importanza nasca soprattutto dal loro mettersi a disposizione dei figli e quindi dei nipoti con la tranquillità e l’esperienza che spesso sa diventare saggezza, così li aiutano a costruire un’interiorità solida e capace di difendersi dalle difficoltà esistenziali. La mancanza di tempo dovuta alla frenesia moderna e al bisogno di certezze economiche fa spesso dimenticare ai genitori una semplice considerazione: “Il tempo è adesso", purtroppo ciò che non si concede ai figli al momento giusto, come l’ascolto, la condivisione e la presenza attiva si ripercuote sulla loro crescita. Non dimentichiamo che molti ragazzi con problemi esistenziali hanno spesso solo bisogno di qualcuno che sappia ascoltarli. Mentre i genitori pensano più a non far mancare le cose materiali, i nonni, pur nella loro indulgenza, sono più portati ad occuparsi dell’educazione civica e spirituale dei nipoti.

Possiamo dire che i nonni mantengono unita la famiglia in modo transgenerazionale, sono un ponte che unisce generazioni diverse, impediscono che essa si riduca o si sfaldi perché‚ rappresentando la memoria che vive e cresce, mantengono attuali gli insegnamenti e le norme dell'educazione che in una società come la nostra si stanno perdendo. È indubbio che si vada verso una certa decadenza sociale, basti pensare alla noncuranza del bene pubblico ed ai rifiuti abbandonati in ogni dove. I nonni figli di un'epoca di maggior rigore rappresentano anche un modello per una convivenza più a misura d’uomo. Ciò vale anche per quelli più giovani e magari passati dal ’68: non dimentichiamo che hanno acquisito la capacità di creare un percorso di vita perché credevano in un’ideologia che, al di là di ogni valutazione politica, ha saputo forgiare l’individuo con regole e obiettivi. Oggi tutto ciò si sta perdendo a favore del qualunquismo e degli ammiccamenti del dio denaro.

Il cambiamento dei nonni si coglie come abbiamo accennato nella loro vitalità, superiore a quella di un tempo e nella capacità di rapportarsi coi nipoti in modo quasi paritario, a volte la confidenza diventa eccessiva, ci si confida più con i nonni che con i genitori, questo anche perché‚ per eccellenza i nonni sono più comprensivi e tolleranti. Non è possibile dire se siano meglio i nonni di oggi rispetto a quelli di ieri in quanto le scene storico circostanziali sono diverse ed ognuna ben si adatta al proprio contesto per cui concluderei con un sentito grazie a tutti i nonni di ogni epoca. 

Max Bonfanti, filosofo analista (marzo 2025 @tutti i diritti riservati)


martedì 18 marzo 2025

La mia casa

 


                                    Attimi è tutto crollò!


...Strappata...

In quel nulla il mio respiro è nulla!

.... Il silenzio..

Quelle macerie hanno pietre internazionali e
il rantolo di una voce ferita in una stanza vuota!

...Svuotata...

Non ho più quelle pareti bianche come le nuvole dove scrivevo i miei sogni!

...Ricordi...

L'arcobaleno dipinto dal mio balcone si è squarciato nel cielo ,
hanno singhiozzato anche i vetri per il boato !

...Frantumata...

Quanto freddo, 
senza le mie lenzuola di fiori,
sbrandellato è il mio cuscino dove affondavo il mio naso per sentire più forte gli odori della notte calda!

...È finita...

Quei calici di vino ora sono vuoti ed
echeggia il nulla!

...Ubriaca ..

Mi parlano, ora, di un nuovo paradiso ma è solo uno sporco paradiso!
... Inferno ...


Alito nel vento il fiume di parole
disegnandoti nei contorni di un posacenere di ceneri!

...Il mio cuore è fermo...©

Angela Demma

Fochina un grande amore

 


Il cane è il migliore amico dell'uomo, dicono, e adesso posso confermarlo anch’io. Ho avuto un cane intorno ai vent'anni. Non era un cane tutto mio, in realtà, ma della famiglia. Avevamo da poco traslocato in una casa con giardino e un giorno mio padre era tornato con un cucciolo di pastore maremmano, cosa di cui non ci aveva preannunciato nulla. Con tutta probabilità, ci aveva messo di fronte al fatto compiuto perché sapeva che mia madre si sarebbe lamentata e per qualche giorno credetti che in effetti mio padre sarebbe stato costretto a riportarlo indietro. Era un batuffolo bianco, che aveva ancora bisogno di essere allattato. Nonostante mia madre fosse contraria a tenerlo, fu lei che se ne occupò. Alla fine cedette e Ricky rimase con noi, con il patto che avrebbe vissuto in giardino. Gli costruimmo una cuccia e negli anni, manco a dirlo, fu mia madre la sua vera padrona. Dopo la scomparsa di Ricky, che mia madre curò fino alla fine, anche nei momenti difficili della malattia, a nessuno di noi venne più in mente di prendere un cane.

Sei anni fa, mentre mi trovavo al mare, i miei due bambini mi chiesero con veemenza di acquistare un cagnolino che una signora del villaggio voleva dar via. Si trattava di un cucciolo di Chihuahua a pelo lungo. Nonostante le forti insistenze, mi rifiutai categoricamente di prenderlo in considerazione, sia perché sono contraria alla mercificazione degli animali sia perché saremmo tornati a Milano con l'aereo e il tipo di biglietto che avevamo non prevedeva la possibilità di aggiungere un animale. Tuttavia, tornando dalla spiaggia, un pomeriggio mi trovai muso a muso con quel cagnolino dagli occhi neri come la pece. Qualcosa mi vibrò dentro l'anima e capii che ero pronta per avere un cane. Ma non un cane da tenere fuori casa, no. Avvertii improvviso e inaspettato l’impulso di avere un cane come amico. Fu come se mi si sciogliesse dentro qualcosa. Ribadii ai miei figli di non poter prendere quel cucciolo, ma promisi che, una volta tornati a Milano, saremmo andati al canile per vedere se fosse possibile adottarne uno. I miei figli fecero grandi salti di gioia, che rinforzarono la mia decisione.

Il primo weekend dopo il rientro a Milano, mi recai al canile. Molti descrivono i canili come dei lager, per cui ero prevenuta. Il canile di Milano si trova nella periferia est della città e per certi versi è un posto bellissimo, con grandi prati dove i cani possono correre e dove le gabbie sono in realtà degli ambienti ampi. Mi colpì la gentilezza e l'amore che i volontari del canile mostravano alle povere creature abbandonate. Mi fecero fare un giro e mi ritrovai a fissare tanti occhietti che parevano chiedere solo di essere portati via. Compresi che, nonostante il posto fosse più che dignitoso, la maggior parte dei cani desidera uscire da quell'ambiente ampio e spersonalizzato per essere accolto in una famiglia.

Al termine del tour compilai un modulo e specificai alla ragazza che mi aveva seguita che non avevo preferenza di razza né di sesso. Mi bastava che fosse un cane di piccola taglia, considerate le dimensioni della mia casa. Non avevo preferenza nemmeno rispetto all'età, mi andava bene un po' tutto. Tornai a casa a mani vuote, ma d'altronde questo lo avevo previsto. Avevo letto sul sito del canile che, prima di adottare, bisogna seguire una lunga trafila e che quindi, una volta scelto il cane, è necessario effettuare un periodo di familiarizzazione all'interno del canile per poi procedere a una preadozione per vedere come va la coabitazione tra animale e uomo nella nuova famiglia. All’inizio il nuovo proprietario del cane è in realtà una sorta di affidatario per un anno, al termine del quale, se tutto va bene, arriva la conferma dell'adozione. Questo mi apparve come un eccesso di burocrazia, ma di fatto rappresenta un’attenzione e una tutela verso quegli animali che hanno già subito un trauma e gli si vuole evitare di finire in una situazione non adatta a loro.

Tornai al canile una seconda volta e di nuovo non trovai il cane che poteva andare bene per me o meglio ne individuai due, ma erano stati già opzionati da altre famiglie. Mi sentii un po' sconfortata, convinta che non avrei mai trovato il mio cane. Mi resi conto che lo stavo cercando non solo per accontentare i miei figli, ma anche perché improvvisamente mi ero ritrovata desiderosa di condividere la mia vita con un pelosino. Mi chiesi cosa avrei fatto se non avessi trovato il cane giusto al canile. La mia mente continuava a rifiutare l'idea di dover comprare un cane. Cominciai a spargere la voce nella mia zona e anche al parco, dicendo che, se ci fosse stato qualcuno intenzionato a regalare un cagnolino, sarei stata disposta a prenderlo. Proprio nel momento in cui pensai che il canile non potesse aiutarmi, ricevetti la telefonata della volontaria con cui avevo parlato la prima volta, che mi disse che voleva farmi conoscere Fochina, una Yorkshire di sette anni, che era stata abbandonata dal proprietario alcuni mesi prima ed era arrivata al canile in condizioni critiche. Non me l'avevano fatta conoscere perché non era considerata adottabile a causa delle condizioni di salute molto precarie. L’avevano sottoposta a numerose cure e adesso stava molto meglio. Era bellissima e di buon carattere, per cui, se volevo, potevo andare a trovarla. Quel pomeriggio stesso mi precipitai al canile e fu così che la prima volta incontrai lo sguardo di quello che sarebbe diventato il mio grande amore. Vidi da lontano la volontaria che avanzava verso di me attraverso il prato, tenendo al guinzaglio una pelosetta bionda che trotterellava. Quando me la ritrovai ai piedi, provai ad accarezzarla, ma lei si ritrasse. Era estremamente timida. La volontaria mi passò il guinzaglio e così feci la mia prima passeggiata con la signorina. La presi anche in braccio e la trovai così morbida e leggera che mi si riempirono gli occhi di lacrime per la commozione. Arrivò anche un'altra volontaria ed entrambe capirono che Fochina mi aveva colpita. Mi spiegarono che Fochina era il nome che le era stato attribuito al canile, visto che non si sapeva quale fosse il suo nome originario. Dal microchip erano risaliti al proprietario, che avevano contattato in ogni modo possibile e che si era rifiutato di riprenderla con sé – non saprò mai per quale assurdo e disumano motivo. Mi dissero che avrei potuto cambiarle il nome, ma io decisi che, se fosse stata mia, non glielo avrei cambiato per non indurle ulteriore confusione. Tornai altre volte, anche con i miei figli, che si mostrarono entusiasti di fronte alla piccola Yorkshire bionda.

Finalmente, dopo due mesi in cui frequentai il canile e familiarizzai con Fochina, il veterinario diede il permesso definitivo per farla uscire da lì. Mi recai al canile emozionatissima. Mentre compilavo scartoffie varie e mi impegnavo a comunicare al canile ogni eventuale difficoltà fosse sorta, le fecero una lunga doccia. Mi consegnarono la coperta a cui la piccola si era abituata negli ultimi mesi per darle un senso di continuità e, mentre altre volte aveva opposto qualche resistenza prima di passeggiare con me, stavolta Fochina mi seguì subito, quasi come se sapesse. Non dimenticherò mai il momento in cui io e lei raggiungemmo il limitare del canile. Proprio sulla soglia del cancello, che era stato aperto per noi, la piccola frenò all'improvviso e si voltò indietro guardando i vasti campi del canile. Poi si girò verso di me, mi fissò a lungo negli occhi e infine prese la rincorsa e si mise a correre veloce verso fuori, trascinandomi al guinzaglio. Anche le volontarie si commossero vedendo la cagnolina che correva felice verso la libertà e verso la sua nuova vita. In macchina la presi in braccio e mi accomodai con lei sul sedile posteriore. Per tutto il tempo rimase accovacciata sulle mie gambe a guardare fuori dal finestrino, tremando come una foglia. Mi chiesi se ciò fosse a causa del freddo perché era ancora un po' bagnata o se si trattasse di un filo di paura. Quando mise per la prima volta piede nel mio appartamento, la liberai dal guinzaglio e lei fece una vera e propria ispezione della casa. Qualche anno dopo misi in vendita quella casa per trasferirci in una più grande e devo dire che nessun agente immobiliare ha mai scrutato così attentamente la mia casa come fece Fochina la prima volta che vi entrò. Fece un giro delle stanze, guardò attentamente i mobili e le pareti e annusò dappertutto. Terminato il giro, tornò nella sala, individuò la cuccia che avevo preparato per lei e, dopo essersi dissetata nella ciotola lì accanto, andò subito ad accovacciarsi. Dal suo sospiro capii che si trovava a suo agio. Quando si fece l'ora, le misi la pettorina e il guinzaglio e andammo al parco a ritirare i miei figli, che la accolsero con grida di giubilo. Dopo circa un mese i volontari vennero a trovarmi a casa per valutare come si procedeva e fummo promossi a pieni voti per la fase di preadozione. La trafila era così lunga che mi pareva di adottare un bambino. In effetti, Fochina è diventata la mia bambina. I miei figli hanno amato la piccoletta come una sorella, e lei è diventata quella terza figlia che non sono riuscita ad avere. Mi rendo conto che un cane diventa davvero parte della famiglia se vive in casa perché soltanto così condivide l'intero vissuto della famiglia. Ecco perché con Ricky, rimasto sempre in giardino, era diverso. Fochina mangiava ai miei stessi orari, soprattutto a colazione. Mi aspettava buona per tutto il tempo che stavo via per lavoro e io tornavo sempre il prima possibile. Ci concedevamo delle belle passeggiate o lungo il marciapiede vicino casa oppure, quando il tempo lo consentiva, in un parco vicino. Mi occupavo della sua pulizia quotidiana e le spazzolavo il suo bellissimo pelo con grande gioia. Mi seguiva dappertutto: quando cambiavo stanza, mi veniva dietro come un’ombra; se stavo sul divano, si rannicchiava ai miei piedi; se mi accomodavo sulla poltroncina, si accovacciava sulle mie gambe appoggiando il musetto contro la mia pancia. Negli ultimi anni ha dormito con me: le mettevo una copertina sul mio letto, lei si accucciava e si faceva delle lunghe ronfate. Fochina è stata davvero la mia bambina e la mia più cara amica.

Un momento in cui ho apprezzato particolarmente la sua compagnia è stato durante il Covid, e non solo perché mi consentiva di uscire più volte al giorno. In un periodo di grave deprivazione sociale, la presenza di Fochina si rivelò ancora più preziosa. Io e i miei figli ci stringemmo nel mio appartamentino di allora e Fochina fu la nostra gioia. Quando riaprirono le frontiere tra le regioni, comprai i biglietti per la nave e così io, i miei figli e Fochina ci sistemammo per quasi ventiquattro ore in una confortevole cabina chiamata “amici quattro zampe”, con una magnifica vista sul mare. Fu così che per la prima volta Fochina mise piede nella mia casa siciliana, dove, in vacanza, trascorreva lunghe ore distesa al sole sul terrazzo. Lì si mostrava estremamente felice; era come se capisse che quello era un momento di pausa dalla vita quotidiana, in cui ci rilassavamo, ci divertivamo e riuscivamo a trascorrere moltissimo tempo insieme. Fochina abbaiava difficilmente e se voleva qualcosa, veniva a leccarmi le gambe o a darmi colpetti con il suo musetto oppure tamburellava con la coda contro le porte o contro il pavimento. La nostra intesa è diventata talmente profonda che non mi sbagliavo mai nell'interpretare i suoi bisogni e le sue sensazioni. L'ho lasciata solo due volte ad amici, per viaggiare, e mi è comunque dispiaciuto perché, nonostante ci facessimo tutti i giorni delle videochiamate, mi mancava terribilmente. Lei era sopraffatta da una grande tristezza, che abbiamo spazzato velocemente una volta che ci siamo riunite. Da allora abbiamo preso a viaggiare sempre insieme, in aereo, in macchina o in treno. Il feeling che abbiamo costruito non l’ho mai avuto né con un fidanzato né con le amiche e gli amici più cari. Negli ultimi tempi ho tagliato i ponti con molte persone che mi hanno delusa e così ho maggiormente valorizzato il rapporto con la mia cagnolina. Purtroppo negli ultimi tre anni Fochina ha sviluppato una forma importante di diabete, che le ha tolto la vista per via delle cataratte. Stava per morire, ma ancora una volta sono riuscita a salvarla. L'avevo portata dalla veterinaria e insieme avevamo trovato il modo per continuare a farla vivere. Avevo individuato il giusto dosaggio e così due volte al giorno le iniettavo insulina facendole delle punturine. Fochina era molto brava perché, così come si è sempre fatta tagliare da me pelo e unghie, anche in questo caso si affidava totalmente, si metteva in posizione e aspettava che io le facessi la puntura, subito dopo la quale le davo una bella razione del suo cibo diabetico che, per fortuna, doveva anche essere molto appetitoso perché lo mangiava con voracità. La cecità ci impedì di punto in bianco di andare in giro insieme come facevamo una volta perché chiaramente aveva paura di essere trascinata nel buio, e allora avevamo trovato una soluzione: quando andavamo fuori, la portavo in braccio lungo le stesse strade che ormai conosceva e lì, una volta a terra, si muoveva con disinvoltura. Al parco, poi, si scatenava, annusava tutto e aveva imparato a orientarsi perfettamente. Purtroppo non poteva più giocare a calcio come una volta. I primi giorni piangevo perché mi ero identificata con la sua cecità e soffrivo insieme a lei. Questo ci ha legate ancora di più. Anch’io ho avuto seri problemi di salute nella mia vita e ho riconosciuto nella forza di questa cagnolina così fragile la mia stessa voglia di vivere. Le ho promesso che sarei stata i suoi occhi e che le avrei dato sempre le giuste cure e attenzioni, ma soprattutto il mio amore.

Fochina purtroppo non c’è più.

Negli ultimi mesi le è stata diagnosticata una malattia, la stessa che ho avuto io anni fa, e che stava facendo nuovamente capolinea nella mia vita. Forse avevamo la stessa patologia, la stessa sorte. Abbiamo vissuto le ultime settimane strette in un amore incondizionato, costellato di cure, attenzioni, ma anche tanta ansia e apprensione. Ci siamo godute ogni attimo possibile, unite e affiatate più che mai. Uno degli ultimi giorni che abbiamo trascorso insieme sono scoppiata in lacrime al pensiero che presto mi avrebbe lasciata sola. Si è accovacciata sulla mia pancia e ha pianto silenziosamente insieme a me.

Ha vissuto bene fino all’ultimo, la nostra vita era ancora bella. Ma una mattina ha cominciato a soffrire e per tre giorni non ha più toccato cibo e ha cominciato a respirare a fatica. La malattia era progredita, la situazione precipitata d’improvviso. Ho sperato fosse un peggioramento transitorio.

L’ho vegliata per tre notti, temendo che il suo respiro si affievolisse. Al quarto giorno ho preso una delle decisioni più dure della mia vita. Le veterinarie mi hanno confermato che non c’era nulla da fare. Fochina ha fatto un lungo giro per tutta la casa, come a voler imprimere ogni profumo, ogni dettaglio. I miei figli l’hanno salutata con strazio e io l’ho presa in braccio e ho fatto con lei l’ultimo viaggio, gli ultimi passi insieme, verso la clinica veterinaria. Ricordo con difficoltà quei momenti carichi di angoscia. La mia mente era in subbuglio, sconvolta. Ansimava, ma quando le è stata praticata la puntura per anestetizzarla, dapprima è sobbalzata e poi ha emesso un lungo sospiro, finalmente rilassata e libera dai dolori tremendi che l’attanagliavano. Mi ha sorriso e tirato fuori la linguetta. L’ho baciata a lungo e le ho sussurrato: “I tuoi fratelli ti salutano e ti amano tanto. E io rimarrò la tua mamma per sempre, non dimenticarlo mai”.

Le due dottoresse hanno pianto con me. Lasciarla andare è stato l’ultimo atto d’amore per lei. Fochina ha lasciato un profondo vuoto. Mi sento inerte e sola. La casa è diventata troppo grande senza di lei. La vedo dappertutto. È dappertutto.

Rimarrà la più grande compagna della mia vita.

Il giorno dopo la sua tristissima dipartita, mi è arrivato il referto che tanto aspettavo. La mia malattia, la stessa che ha portato via la piccola, è benigna. Non sono riuscita a gioire come avrei voluto e mi sono rammaricata perché non ho avuto il tempo di dirlo a Fochina.

Ma poi ho capito una cosa.

Fochina sa. Ciao, amore mio.

Eleonora Castellano, docente e psicologa (marzo 2025@tutti i diritti riservati)


domenica 16 marzo 2025

Dolce Fochina



L'allegria ti è compagna,
signora equilibrata
consapevole attende
il ritorno della sua stella.
Il mondo raccolto tra le braccia
di chi ti ha accolto,
dal canile salvata.
Gli odori, suoni e carezze
la piccola lingua 
esplorava, assaporava
curiosa piccola Amica,
che ha sofferto.
Amore ha donato
ora, accompagnata
oltre l'arcobaleno.
Spirito allegro 
scodinzola e saluta
chi le ha voluto bene. 

Dario Aina, scrittore e poeta (marzo 2015 @tutti i diritti riservati)

sabato 15 marzo 2025

Attilio Andriolo sale in cattedra con Giuseppe Garibaldi

 


Una minuziosa e attenta ricerca sull’Eroe dei Due Mondi, ha fatto sì che Attilio Andriolo, presidente dell’Associazione Culturale Teseo di Milazzo - autore della silloge “Momenti dell’Anima” - si facesse conoscere come appassionato di storia del Risorgimento Italiano e, soprattutto, di ciò che ha rappresentato Giuseppe Garibaldi. Dalla nascita alla morte, l’autore pone un tracciato storico di Garibaldi che va oltre ciò che abbiamo studiato sui libri di scuola, i quali ci hanno fatto conoscere la figura del condottiero dal grande carisma, con forte ascendente popolare e conquistatore di territori, piuttosto che presentarci un personaggio non in grado di apporre un peso importante dal punto di vista politico, al cospetto di Vittorio Emanuele II, Giuseppe Mazzini e Camillo Benso Conte di Cavour. Passaggi di storia di un Garibaldi che non conoscevamo a fondo e ci pone davanti alla domanda: “Giuseppe Garibaldi è stato più Uomo o Eroe?”. Ecco, diremmo proprio che tutta la grande ricerca storica fatta dall’autore Attilio Andriolo su quello che da tutti viene considerato “Eroe”, ma che poi, addentrandoci nei particolari della storia, ci si accorge che per ciò che ha fatto, ci mette davanti una figura più umana che politica. Ed è per questo motivo che la sua opera letteraria: “Giuseppe Garibaldi: Uomo o Eroe”, cerca in qualche modo di smitizzare l’Eroe, restituendo l’immagine del personaggio dalle tante sfaccettature umane. Anche se, a onor del vero, pur non ridimensionando il condottiero dalla Camicia Rossa, consacrato dalla storia come uno dei Padri della Patria assieme a Vittorio Emanuele II, Giuseppe Mazzini e Camillo Benso Conte di Cavour, offre al lettore il ritratto più vero di un Giuseppe Garibaldi dai tratti meno noti, che mette in mostra tutta la fragilità e le contraddizioni del suo agire. Come dicevamo prima, la profonda e minuziosa ricerca dell’autore si mette in evidenza attraverso aneddoti personali e analisi storiche, dalla sua nascita a Nizza nel 1807, fino al suo ritiro a Caprera. Audacia militare e spirito patriottico si intersecano a un personaggio pragmatico e istintivo lontano dall’idealismo astratto del “parolaio” Giuseppe Mazzini, con il quale Garibaldi ebbe delle tensioni che culminarono nei moti genovesi del 1834 e nella condanna a morte in contumacia. C’è poi il periodo sudamericano che va dal 1836 al 1848, in cui l’autore si sofferma rimarcando un periodo storico in cui Garibaldi mostra il suo essere corsaro al servizio dei repubblicani del Rio Grande del Sud. Ma grande spazio di narrazione viene dato da Attilio Andriolo al romanticismo e a quel primo incontro con Anita – “Tu devi essere mia”- le disse, nonostante lei fosse già sposata. Grandi difficoltà della loro vita insieme si percepiscono chiare tra lutti e abbandoni, mentre l’autore parla di quel 1849 in cui avvenne la morte di Anita con il giallo dello strangolamento nelle valli del Comacchio, di cui la storia non ne chiarisce i particolari, mentre attraverso il racconto di Andriolo si percepiscono tutte le domande su quanto avvenne e non è mai stato risolto definitivamente. Una sorta di punto oscuro che lascia molti dubbi sul perché la storia non sia stata in grado di dare delle giuste motivazioni. E poi la celeberrima Spedizione dei Mille narrata dall’autore con un misto di ammirazione e realismo. Infatti, oltre le battaglie dell’impresa partita da Quarto con appena 1170 uomini al seguito e culminata con la conquista del Regno delle Due Sicilie, Andriolo, da milazzese quale egli è, mette soprattutto in luce la battaglia di Milazzo avvenuta il 20 luglio 1860, con l’episodio del cavallo bianco del generale Bosco che mette in mostra la magnanimità di Giuseppe Garibaldi. Poi il suo isolamento politico dopo la consegna del Sud ai Savoia, un atto che lo amareggiò molto, E ancora l’uomo oltre il mito, il riferimento che l’autore insiste nel mettere in evidenza fino alla fine, in una narrazione in cui pare contare più il senso dell’umano che non quello del coinvolgente combattente biondo, con i capelli lunghi fino al collo, la camicia rossa e il cavallo bianco. E’ il motivo conduttore del testo di Attilio Andriolo, in cui emerge preponderante il desiderio di verità e di quella forma romantica che è insita nel suo essere.

Salvino Cavallaro, giornalista


giovedì 13 marzo 2025

Il superfluo e l'essenziale

 


La scrittura, questo meraviglioso strumento di comunicazione. C’è chi scrive per professione – vedi scrittori e giornalisti - e chi lo fa per pura passione. Tuttavia, il significato di comunicare ai lettori e agli amanti di questo meraviglioso mondo che si divide tra letteratura e informazione, ci pone davanti alla riflessione di distinguere bene il superfluo dall’essenziale. Infatti, c’è chi dice e pensa di scrivere per apparire più intelligente degli altri e c’è, invece, chi ha capito che scrivere è un modo coinvolgente per esprimere ciò che si è nell’anima, esternando attraverso le proprie emozioni il desiderio di un contatto umano. E allora lo stile, che impone l’essenzialità nei contenuti e la massima cura nella forma, spesso si confonde con il superfluo di una scrittura debordante di inutili orpelli. Da sempre sono stato attratto da coloro i quali, attraverso la passione per la scrittura, hanno qualcosa da trasmettere agli altri. E’ come relazionarsi con il mondo, anche con chi non conosci personalmente, ma riesci in qualche modo a stargli vicino attraverso le pagine di un giornale o di un libro. Si tratti di fatti di cronaca o di narrazioni romanzesche, la scrittura avvicina le persone, arriva diretta, provoca emozioni e dà l’opportunità di discutere, disquisire su questo o quell’argomento delle più disparate tematiche di vita. E’ la grande bellezza della letteratura, il fascino dei sentimenti trasmessi attraverso le righe che compongono pagine ricche di interesse. E poi c’è l’autore e ci sono i lettori che si intersecano tra loro nel gioco del conoscersi, capendo che chi scrive mette sempre una parte importante di sé. Così ti accorgi e ammiri chi si dedica alla scrittura per sola passione, mettendo in evidenza ciò che si è in maniera onesta e corretta, senza millantare attraverso ingannevoli orpelli la voglia di apparire senza essere. Ed è bello sentirsi dire: “Scrivo per passione ma non sono uno scrittore, pur avendo pubblicato dei libri”. E’ quell’ammissione di sincerità in cui si illumina la sola passione per la scrittura con grande onestà intellettuale. “L’arte di scrivere è far dimenticare al lettore che ci stiamo servendo di parole” (Henri Bergson). Davvero molto profonda questa citazione del filosofo francese Henri Bergson, capace di sintetizzare la vera sostanza della scrittura intesa come relazione con il lettore, facendo dimenticare lo strumento, pur importante, dell’uso delle parole. Una forma filosofica di tipo pratico che agisce sulla fantasia di chi scrive e di chi legge, capaci di entrare in simbiosi nel racconto e nel contesto descritto, dimenticandosi persino il voltar delle pagine e lo scorrere delle parole. E poi c’è un altro aforisma che mi piace citare: ”La scrittura apre le finestre che si affacciano sull’anima del lettore” (Luca Doveri). Ecco, come si diceva poc'anzi, è proprio l’anima, sono le emozioni esternate da chi scrive, che vengono raccolte dal lettore e le fa sue.

Salvino Cavallaro , giornalista (marzo 2025 @tutti i diritti riservati)

mercoledì 5 marzo 2025

Micio

 

acquarello di Daniela Lorusso


Posso dire che fin dalla nascita la mia esistenza è stata accompagnata dagli amici cani, sempre trovatelli o presi nei più disparati canili. Cani di ogni razza o per meglio dire di più razze, solo una volta al canile municipale di Milano ne ho trovato uno di razza, un Riesenschnauzer di due anni che pesava cinquanta chili, un cane buono come il pane che mi ha accompagnato per poco più di dieci anni, ma ora vorrei parlare di un altro animale, di un gatto. Un giorno verso la metà degli anni settanta un gattino di pochi mesi, un soriano, cominciò a venirmi dietro per strada e nonostante non avessi una gran pratica con questi meravigliosi felini, vista la sua insistenza nel seguirmi, lo tenni con me per oltre tredici anni: era un amore di gatto e ancor oggi, ripensando a lui, non riesco a trattenere le lacrime. Lo chiamai Micio, un nome che subito gli piacque, dopo un po’ iniziai ad abituarmi a lui che in verità si comportava quasi come un cane, mi faceva le feste quando rincasavo e si faceva capire quando voleva qualcosa come fanno i cani e poiché all’epoca abitavo all’ultimo piano lasciavo che uscisse sul terrazzo e andasse a scorrazzare per i tetti tanto che un giorno conobbe la gattina di una signora con la quale diventammo amici. Micio era molto socievole e quando mi nacque un figlio temetti che potesse avere crisi di gelosia invece no, sopportò con grande pazienza i giochi del piccolo senza mai avergli fatto un graffio. Potrei stare qui a scrivere per ore ma quello che voglio sottolineare e solo di amare gli animali, cani, gatti o altro che siano perché sono gli esseri più puri e genuini. 

Max Bonfanti, filosofo analista (marzo 2025 @tuti i diritti riservati)

lunedì 3 marzo 2025

Echi dal passato

 


Una delle citazioni più note del filosofo tedesco Arthur Schopenhauer riguardo il cane è: “Si deve all'animale non pietà, ma giustizia”. Sappiamo quanto egli amasse i cani e come fosse affezionato al suo barboncino Atma e alla luce del suo amore per l'animale possiamo cercare di comprendere la sua affermazione. Cosa è la pietà? Quando si prova pietà? La Treccani.it ci dice che: “È un sentimento di affettuoso dolore, di commossa e intensa partecipazione e di solidarietà che si prova nei confronti di chi soffre”. Sono convinta che limitarsi a provare pietà non sia però sufficiente, questo è solo il primo passo, poi dobbiamo all'animale Giustizia. L'animale ha i propri diritti, esiste infatti e per fortuna, una Carta dei diritti loro dedicata, l'animale va difeso dagli approfittatori...l'animale va affidato a chi può amarlo e rispettarlo. Purtroppo non tutti gli esseri umani sono del tutto affidabili e gli abusi si perpetuano come del resto su tutti i più deboli: bambini, anziani, donne.

L'insegnamento di Schopenhauer è decisamente valido ancor oggi, sono convinta che con l'amore verso gli animali si possegga una spinta fortissima atta a difenderli e a desiderare per loro la Giustizia di cui il filosofo parlava.


Intervista di Maria Giovanna Farina a Jenny Visceglia ENPA Matera

domenica 2 marzo 2025

Viaggio nel tempo

 


Elaine arrivò alla stazione di Saint Remy de Provence di buon mattino. Aveva preso il primo treno da Lione. Si era goduta il panorama pervasa da una sorta di nostalgia indefinibile. Scese dal treno e si guardò intorno. Cercava speranzosa di scorgere Gerard fra i passanti, ma nulla, lui non c’era. Aveva letto che se avesse immaginato l’incontro, con tanto di emozioni e sentimenti, esso sarebbe certamente avvenuto. Le anime che si sono amate davvero hanno modo di comunicare tra di loro per telepatia, si dice. E un po', a dire il vero, ci aveva sperato senza illudersi troppo, così la delusione non l’aveva scossa più di tanto. Del resto, sarebbe stato troppo bello per essere vero. Andò alla stazione degli autobus per raggiungere la sua casa di allora, ritrovare tutto ciò che era rimasto ed era stato faticosamente salvato dalla drammatica divisone ereditaria che la sorella Roxane aveva avviato, tutto d’un tratto, più per vendetta che per necessità. Percorse le strade di un tempo tra le ville facoltose e la tipica vegetazione della bellissima campagna francese, profumata di fiori di lavanda, e fatta di verdi e antiche fronde che danzavano nel vento. La sua casa era ancora lì, silenziosa e solitaria, tra le altre case colorate e l’attendeva come sempre. Aprì la porta ansiosa e diede una rapida occhiata alle stanze, guardò i mobili d’epoca e gli oggetti che erano rimasti e che la cattiveria e l’invidia non erano riuscite a trafugare per farle dispetto. Aveva fatto del suo meglio per conservare con cura il patrimonio ereditato, i sacrifici dei genitori, ma non aveva fatto i conti, troppo giovane e fiduciosa, con la realtà più triste: una sorella vanesia, avida, egocentrica e narcisista. Si aggirò per quegli spazi ben arredati, un vero gioiello vintage, che tanti avrebbero apprezzato e fatto rivivere come un tempo. Così riapparivano i volti, le immagini più belle e le sembrava quasi di udire le voci tra quelle mura pregne di ricordi e delle energie delle persone che non c’erano più. Riecheggiavano la musica e il brusio delle feste e perfino le discussioni. Le avevano detto di quanto non fosse un bell’affare andare a caccia o vivere del passato e che avrebbe fatto meglio guardare avanti ma lei non li stette a sentire. Il passato e i bei ricordi erano fonte di conforto e il rifugio da un mondo sempre più arido e spietato. Elaine era diventata una scrittrice, una poetessa di successo, e sapeva muoversi sulla linea temporale, entrare e uscire dalla dimensione onirica e del ricordo e non temeva di rimanere fissata in alcuna emozione. La scrittura e la poesia l’avevano salvata, come un dono dal cielo, ed era sopravvissuta al tradimento del proprio sangue e ne era orgogliosa perché aveva trovato la vera ricchezza e vinto la più grande battaglia: non era diventata una persona squallida e meschina come loro e nonostante tutto. Era riuscita a non fare un feticcio del dolore ma a trasformare la triste esperienza in forza e in una sorta di rinascita. Aveva imparato suo malgrado a volare sopra le meschinità e le bassezze umane. Usci allora per le strade del paese a passeggiare: il famoso bar Matisse era chiuso da anni, restava solo una targa arrugginita quasi che nessuno dovesse mai profanare un luogo che aveva rappresentato tanto per molti e se non altro la spensieratezza della gioventù, di un’epoca di principi e valori. Lungo le strade cercava di ricordare come erano le cose un tempo e cosa fosse cambiato. Cercava Gerard in verità, voleva incontrarlo dopo tanti anni, per sapere come stesse. Come era stata la sua vita senza di lei. Voleva sapere perché la loro relazione si era interrotta quel giorno durante le feste di Natale. Se quella donna che era entrata all’ improvviso nella loro relazione e glielo aveva portato via senza indugio fosse così meritevole oppure fosse, non solo cosi tanto poco avvenente, ma davvero una maliarda e un’abile arrampicatrice sociale senza scrupoli come gliela avevano raccontata. E lui, un uomo bello, colto, tanto intelligente e perbene, quanto senza carattere da essersi fatto irretire senza scampo. Sapere se qualche volta l’avesse pensata. Ma di Gerard non c’era traccia. C’erano solo i ricordi che camminavano gioiosi e spensierati sulle strade del paese e dei dintorni, o viaggiavano in moto, e c’erano i ragazzi e le ragazze della compagnia che organizzavano gite. C’erano gli esami all’Università e la festa di laurea in ingegneria di Gerard, il tempo della gioventù in cui erano stati inconsapevolmente felici e spensierati. Elaine non aveva avuto una vita facile: dopo la morte dei genitori ancora giovani le strade per lei si erano fatte in salita e piene di avvoltoi come si conviene quando si tratta giovani ereditiere. Elaine cercò di ricostruirsi un futuro accanto a Roland, un aitante velista conosciuto a Marsiglia di cui si era innamorata, dopo l’abbandono e la delusione di Gerard, e nonostante fosse poco gradito nella cerchia famigliare e delle amicizie, che lo vedevano una persona molto poco adeguata a lei sia per carattere che per cultura. Ma il suo animo libero e ribelle la spinsero a non considerare i consigli degli anziani e a proseguire in una relazione che alla lunga si rivelò misera di tutto, sbilanciata e poco reciproca. Roland viveva alla giornata, e a parte la vela, non aveva alcuna ambizione e predisposizione oltre che interesse a crearsi una famiglia e a costruirsi un futuro. Non voleva impegni o responsabilità di alcun genere. Era un uomo che si accontentava di poco e viveva alla giornata. Aveva rivelato, nel corso del tempo, un carattere sempre più ombroso e permaloso e poca voglia di rivalsa o successo. Ebbero una figlia Lisette e per qualche anno le cose scorsero comunque abbastanza serene; grazie ad Elaine che investiva tutte le sue energie per mandare avanti la sua famiglia. Roland era spesso via per il suo lavoro, che lo portava per mare, imbarcato come ufficiale sulle navi cargo che partivano da Marsiglia. Terminati gli ardori giovanili, si accorse ben presto che non c’erano le basi per una relazione sana e soddisfacente e così Elaine si ritrovò accanto un uomo molto diverso da quello che le sembrava di aver conosciuto. Egli cominciò a prendere peso diventando infine obeso e a diventare una persona anaffettiva, fredda e scostante e talvolta aggressivo. Roland non era più quel giovane aitante ed energico che la faceva sorridere e divertire ma era diventato un anziano scorbutico, un estraneo. Per quanto presente era molto distante emotivamente e lei aveva conosciuto la peggior solitudine che una donna potesse provare. Quella di vivere accanto ad una persona sbagliata, di sentirsi come una vedova a quarant’anni. Si fece carico, senza mai lamentarsi, di tutte le incombenze e delle responsabilità crescendo Lisette praticamente da sola e senza poter contare su alcuno della famiglia di origine. I momenti di svago o di spensieratezza diventarono sempre più rari. La zia Roxane, per qualche strana ragione sempre più insofferente alla presenza della sorella Elaine nella sua vita, non si dedicò mai alla nipote Lisette, a parte qualche sfarzoso regalo di Natale i primi anni, presa dai suoi viaggi, dai suoi teatri e drammi, per lo più inventati, dai pettegolezzi della società delle apparenze in cui viveva oltre che dagli uomini con cui cercava di rifarsi una vita. Un giorno, all’improvviso, perse sé stessa e intraprese la strada di Caino attaccando Elaine per vie legali con un pretesto. Elaine si ammalò gravemente poco dopo per le calunnie proferite nei suoi confronti. Sopravvisse all’onta del disonore e allo scempio della sua famiglia di origine, al dolore di non aver potuto salvare il patrimonio che andava svenduto, suo malgrado, e la sorella, che aveva gettato finalmente la maschera, mostrando il volto spietato dell’invidia e della cattiveria. Il caro Vincent, il suo adorato nipote, spari per diversi anni, anche a lui faceva comodo l’eredità dei nonni, dopotutto e aveva frequentato la scuola degli affaristi senza scrupoli e sentimenti del padre, un piccolo imprenditore immobiliare di Grenoble, classico spaccone di provincia. I momenti lieti passati con i nonni e le vacanze al mare con gli zii, mentre la madre divorziata era in giro per il mondo, non erano che un ricordo senza senso e lontano; c’era ormai solo il dio denaro a far da padrone. Una vita controvento quella di Elaine, costellata di grandi dispiaceri e delusioni, dove la fiducia in chi avrebbe dovuto sostenerla e proteggerla era stata malriposta. Lei che c’era sempre per tutti e soprattutto per l’amata sorella e l’adorato nipote per i quali avrebbe affrontato uragani e regalato loro il mondo intero. Roland non fu che uno spettatore passivo e più che una vela si era rivelato una zavorra nella sua vita. Ormai le energie da mettere anche per lui si erano affievolite. Vederla felice non era mai stata una sua priorità o un desiderio. Lei era solo un’abitudine a cui non voleva o sapeva rinunciare. Lisette era stata la sua ancora in questo mondo: era una bambina sana, vivace e gioiosa. Ora una giovane e bella ragazza di cui andar fieri. Elaine aveva affrontato e superato le strade polverose della vita, le carenze di ogni genere, gli abusi psicologici più subdoli e inaspettati e la malattia con coraggio e determinazione e aveva finalmente compreso che la gelosia e l’invidia non avevano spiegazioni e giustificazioni e soprattutto non andavano mai ignorate o sottovalutate. Comprese che gli ignoranti, i malvagi e i narcisisti esistono anche in famiglia, che non c’è amore che li guarisca, e che allontanarli senza indugio è l’unica scelta consapevole e corretta da fare. Un sospiro ed usci sul patio a respirare il profumo di fiori che regala il vento nel tardo pomeriggio di primavera come un balsamo prezioso e che le narrava dell’atmosfera di un tempo. Le voci dei bambini intorno, tutt’un tratto, la riportarono alla realtà. Si era fatto tardi ed era ora di recarsi alla stazione per prendere il treno e tornare a Lione. Chiuse con cura la casa e la saluto con una carezza. S’ incamminò consapevole che l’accettazione delle prove e delle lezioni che aveva dovuto imparare tramite gli eventi della vita erano l’unico modo per superarle e che l’amore è un modo di essere e di vivere sempre e comunque. E consapevole che le vere risorse necessarie si trovavano al centro del suo cuore. Si assopì con il cuore in pace lungo il viaggio di ritorno. Tornò così al suo lavoro in ufficio al centro della città il lunedì mattina. Come sempre sorrise ai colleghi. Guardo fuori dalla finestra per guardare il solito panorama di città prima di cominciare la giornata. Accese il computer, un tuffo al cuore la sorprese. Il nome di Gerard appariva nelle mail. Dopo tanti anni aveva trovato il coraggio di scriverle.

Antonella Massa (marzo 2025 @tutti i diritti riservati.

Ogni riferimento a fatti i persone è puramente casuale.

Il grande dono della piccola Milly

  il 7 ottobre 2024, la mia piccola Milly se ne è andata per sempre dopo una malattia, il cancro, che per fortuna non l'ha fatta soffrir...